
Commercio su aree pubbliche. Con la risoluzione 86951 del 26 maggio diretta a un comune della regione Lazio e con la n. 74808 che comunque riguarda esclusivamente il commercio esercitato in forma itinerante, il Mise confuta l'interpretazione fornita dalla Regione Lazio che, a proposito dei diversi regimi autorizzatori, ha inviato una circolare interpretativa a tutti i comuni, al fine di «garantire uniformità di comportamento sul territorio regionale per le diverse procedure amministrative». Secondo il direttore generale, Gianfrancesco Vecchio, sussiste la possibilità che per tale attività vi possa essere «una revisione delle modalità di accesso, finalizzata sia alla semplificazione che a una più efficace azione di controllo da parte della pubblica amministrazione, anche in considerazione del fatto che [ ] l'autorizzazione è solo un residuo della disciplina previgente e costituisce un inutile adempimento burocratico privo di alcuna discrezionalità amministrativa». Il Mise, nelle citate risoluzioni, comunque, omette di prendere in considerazione che, con la legge comunitaria 2008, il governo era stato delegato a uniformare i procedimenti a livello nazionale; con la conseguenza che un'applicazione difforme, da regione a regione, va in senso opposto agli auspici del parlamento, fermo restando che al governo, con i decreti legge 1 e 5 del 2012, è stato dato mandato di ridisciplinare tutte le procedure autorizzatorie.
Superfici minime. Con il parere 127611 del 26 luglio scorso, invece, il Mise ha evidenziato che il dlgs 114/1998, di disciplina del settore, prevede limiti massimi di superficie calpestabile correlati al numero di abitanti. Viceversa, limiti minimi non contemplati dalla normativa, in assenza di peculiari ragioni volte a giustificare la previsione da parte dell'amministrazione comunale costituiscono una barriera all'accesso all'attività commerciale. Fatto questo che, alla luce della normativa italiana ed europea in materia di liberalizzazioni ed eliminazione di tutti i vincoli e restrizioni all'accesso e all'esercizio di impresa, è da considerarsi in contrasto con i principi che consentono di limitare l'iniziativa privata ai soli casi in cui ostino i motivi imperativi di interesse generale.