
Al centro della protesta non solo la politica dei tagli, ma in particolare la riforma che sancisce la definitiva messa ad esaurimento della figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituita dal ricercatore a tempo, con contratti di tre anni rinnovabili per altri tre. A essere penalizzati, è la protesta, saranno sia i precari, che si ritroveranno senza prospettive, sia i ricercatori in ruolo, che da anni aspettano i concorsi per diventare associati. E per i quali non sono previsti concorsi proporzionali al loro numero per mancanza dei finanziamenti. Ma non solo. Perché ad animare la protesta sono poi gli emendamenti dell'ultima ora. Uno di questi, presentati dal relatore Giuseppe Valditara (Pdl) prevede che i ricercatori siano «tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, rispettivamente, almeno 350 ore i professori e ricercatori a tempo pieno e almeno 250 ore i professori e ricercatori a tempo definito». Il tutto sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo. Una norma che, come spiega Marco Merafina del Coordinamento nazionale dei ricercatori, «ci costringe a fare didattica senza il riconoscimento dello stato giuridico». A questo si aggiunge, poi, la revisione del trattamento economico, della trasformazione cioè della progressione biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale.