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I nuovi Totti non emigrano gratis

del 17/03/2010
di: di Francesco Cerisano
I nuovi Totti non emigrano gratis
Non servirà ad arginare la fuga di giovani talenti calcistici all'estero. Ma almeno le squadre italiane potranno guadagnarci qualcosa ogniqualvolta una promessa della primavera decida di emigrare e sottoscrivere il primo contratto da professionista con una società europea. I club spogliati dei propri talenti potranno infatti farsi pagare un'indennità di formazione per i giovani calciatori che decidano di fare le valigie e andare oltrefrontiera. Lo ha deciso la Corte di giustizia Ue con una sentenza (nella causa C-325/08) destinata quantomeno a porre un freno ai sempre più frequenti blitz dei club stranieri, soprattutto inglesi, nei vivai italiani. Come non ricordare il caso di Federico Macheda, il giovane attaccante calabrese del Manchester United soffiato dai Red Devils alla Lazio tra le proteste del presidente Lotito. O quello di Vincenzo Camilleri, difensore della Reggina, prelevato in elicottero dal Chelsea nell'estate 2008 direttamente al centro sportivo della società amaranto e portato a giocare a Londra assieme a Fabio Borini, attaccante 18enne scuola Bologna, anche lui acquistato dai Blues, avvantaggiati dalla legge italiana che non permette di fare contratti prima dei 16 anni.

La decisione dei giudici di Lussemburgo è stata originata dal caso di un giocatore francese, Olivier Bernard, ora trentenne, che nel 1997 era una giovane promessa dell'Olympique Lione. Bernard aveva firmato con la società francese un contratto «espoir», regolamentato dalla legislazione d'Oltralpe, che obbliga i giocatori di età compresa tra i 16 e i 22 anni a sottoscrivere al termine della formazione il primo contratto da professionista con la società d'origine. Ma Bernard si era rifiutato di firmare col Lione ed era passato alla società inglese del Newcastle. Di qui il ricorso dell'Olympique per chiedere il risarcimento del danno. La vicenda ha percorso tutti i gradi di giudizio in Francia fino ad arrivare alla Cassazione che ha deciso di rinviare gli atti alla Corte di giustizia Ue. I giudici comunitari non sono stati teneri con la normativa francese, che impone ai giocatori «espoir» di concludere il primo contratto con la società che li ha formati. Secondo la Corte un tale regime «costituisce una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori». Ciononostante, come già affermato nella famosa sentenza Bosman (che ha eliminato ogni limite al numero di giocatori stranieri in campo, ndr), la Corte ha riconosciuto che «una misura che ostacoli la libera circolazione dei lavoratori può essere ammessa qualora persegua uno scopo legittimo compatibile con il Trattato». E così è nel caso di specie, perché, scrivono i giudici di Lussemburgo, «la prospettiva di percepire un'indennità di formazione è idonea a incoraggiare le società a cercare calciatori di talento e assicurare la formazione dei giovani calciatori». Per questo «un sistema che preveda il pagamento di un'indennità nel caso in cui un giovane giocatore, al termine della propria formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società diversa da quella che lo ha formato può essere giustificato, in linea di principio, dall'obiettivo di incoraggiare l'ingaggio e la formazione di giovani giocatori». La Corte di giustizia è andata oltre e ha voluto dare indicazioni precise su come debba essere quantificata l'indennità. «Un siffatto sistema», spiegano i giudici comunitari, «dev'essere effettivamente idoneo a conseguire tale obiettivo, tenendo conto degli oneri sopportati dalle società per la formazione tanto dei futuri giocatori professionisti quanto di quelli che non lo diventeranno mai». E non deve andare «al di là di quanto necessario ai fini del suo conseguimento». Un errore in cui è incappata la normativa francese bocciata dalla Corte perché prevedeva un risarcimento, calcolato sul danno complessivo e non, invece, come avrebbe dovuto, sulla base dei costi di formazione sostenuti.

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