
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 10394 di oggi, ha accolto soltanto in parte il ricorso di una contribuente accusata di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante fatture false.
In particolare la terza sezione penale ha accolto il ricorso sul fronte della confisca per equivalente dei beni (invalida prima del 2008) e su quello del concorso dei due reati.
Insomma la signora dovrà rispondere soltanto del secondo reato non essendo configurabile in queste ipotesi un concorso.
Interpretando il decreto legislativo 74 del 2000 la Cassazione ha poi chiarito che in deroga esplicita all'art. 110 c.p., il legislatore ha espressamente «escluso il concorso tra l'emissione e la utilizzazione di documenti fittizi, perché consentire che l'emittente sia chiamato a rispondere tanto del delitto di emissione, quanto di concorso nel delitto di utilizzazione tramite dichiarazione fiscale, significherebbe punirlo due volte per la medesima condotta». Non basta. «In tema d' imposta sul valore aggiunto», si legge in un passaggio successivo della sentenza, «la fatturazione effettuata in favore di soggetto diverso da quello effettivo non è riconducibile a una ipotesi di fatturazione con indicazioni incomplete o inesatte di cui al dpr 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 3, né a quella di omissione dell'indicazione dei soggetti tra cui l'operazione è effettuata, prescritta danti. 21, comma 2, n. 1, stesso decreto». Di conseguenza deve essere necessariamente riconducibile «a un'operazione inesistente». Infatti, tutto il sistema dell'Iva poggia sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potrà compensarla con riva versata per l'acquisto di beni e di servizi) mentre il versamento dell'Iva a un soggetto non operativo apre la strada al recupero indebito del tributo.