
Il caso vedeva protagonista una srl che aveva aderito al condono disciplinato dalla legge n. 289/2002. Oggetto della definizione: omessi versamenti di Iva, dichiarata ma non versata, per oltre 60 mila euro. La sanatoria era stata effettuata secondo le regole dell'articolo 15 della Finanziaria 2003, ossia riducendo del 50% le maggiori imposte pretese dall'erario. Ma secondo l'ufficio i mancati versamenti non potevano essere sanati con l'articolo 15, bensì con il meccanismo meno favorevole per il contribuente di cui all'articolo 9-bis (disapplicazione delle sanzioni). Da qui l'emissione del provvedimento di diniego, impugnato dal contribuente davanti ai giudici tributari.
Secondo i magistrati d'appello, tuttavia, «si nota che la società ha aderito al condono non semplicemente di propria iniziativa, ma a seguito del verificarsi di alcune situazioni che quasi obbligatoriamente l'hanno portata a tale definizione agevolata». Nello specifico, a seguito dei pvc emessi le Entrate avevano inviato al contribuente una lettera di invito «a definire le pendenze in base all'art. 15 esplicitamente menzionato», spiega la Ctr. Il condono è stato quindi richiesto e formalizzato secondo le istruzioni ricevute: «In quel momento la sanatoria si è perfezionata con accordo di entrambe le parti», si legge nella sentenza, «il condono si è perfezionato con l'approvazione dell'amministrazione». Non rileva, quindi, che successivamente l'ufficio si sia accorto che «probabilmente ha commesso un errore, perché al contribuente andava richiesta l'applicazione dell'articolo 9-bis, con conteggi e riscossione di importi maggiori». Le ulteriori richieste, pertanto, «si ritengono illegittime e tardive». Da qui il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
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