
Per l'Ue, in particolare, l'Italia non rispetta le norme che regolamentano la rappresentanza sindacale dei lavoratori a termine perché, mentre la direttiva Ue del 19970 stabilisce che anche tali lavoratori vanno considerati nel calcolo dei rappresentanti sindacali, le norme italiane invece prevedono che si tenga conto solo dei lavoratori con contratti di durata oltre i nove mesi. È così infatti che stabilisce il vigente art. 8 del dlgs n. 368/2001, modificato dal disegno di legge comunitaria 2013: il nuovo testo, che entrerà in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prevede che «i limiti prescritti dal primo e dal secondo comma dell'art. 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, per il computo dei dipendenti si basano sul numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro». Il primo e secondo comma del predetto art. 35 stabiliscono che le disposizioni sull'attività sindacale (titolo III dello statuto dei lavoratori) si applicano nelle aziende con più di 15 dipendenti ovvero più di cinque se agricole. In base al nuovo criterio, all'azienda con 15 dipendenti e con due rapporti a termine di durata semestrale scatterà l'obbligo di riconoscere l'attività sindacale, obbligo finora escluso in quanto i contratti a termine non si conta(va)no, perché di durata inferiore a nove mesi.