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Nel concordato preventivo l'Iva si può stralciare

del 02/08/2013
di: Marcello Pollio
Nel concordato preventivo l'Iva si può stralciare
L'intangibilità dell'Iva nel concordato preventivo opera solo se il debitore intende avvalersi della transazione fiscale ex art. 182 ter legge fallimentare. L'istituto del «concordato fiscale» ha natura volontaria ed è derogatorio dei principi generali solo se l'impresa in crisi sceglie di assoggettarsi alle regole dell'art. 182 ter. La corte di appello di Genova, conformandosi a una sua precedente pronuncia (sentenza n. 1032/09 del 16 dicembre 2009), si è così discostata, con la sentenza 1326 della prima sezione civile depositata il 27 luglio scorso, dall'interpretazione della norma proposta dalla Cassazione nelle sentenze 22931 e 22932 del 2011 e ha accolto il reclamo di una società che si era vista rifiutare l'omologazione del proprio proposta concordato preventivo.

Il caso. Il debitore presentato un piano e una proposta di concordato preventivo ai sensi dell'art. 160, co.2, lf sostenendo che il credito dell'erario per Iva non avrebbe trovato soddisfazione integrale dalla liquidazione del patrimonio del debitore. Su tale presupposto veniva previsto il pagamento parziale del credito per Iva, ma nella misura non inferiore al valore ricavabile in caso di liquidazione fallimentare. L'Agenzia delle entrate aveva contestato tale proposta sostenendo che il credito Iva deve essere pagato sempre e comunque integralmente in quanto l'art. 182 ter lf ha natura sostanziale poiché attiene al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale.

Il principio. La corte genovese ha evidenziato con la nuova pronuncia come l'art. 182 ter, «pur senza incidere sull'ordine dei privilegi, pone a esso una evidente deroga, in pregiudizio di tutti quei crediti ai quali è attribuito dalla legge un privilegio di grado poziore perché ritenuti meritevoli in via generale di maggiore tutela, anche in rapporto a interessi di rilievo costituzionale. Non può quindi dubitarsi della sua natura eccezionale, dalla quale deriva non solo il divieto di applicazione in via analogica, ma anche il divieto di interpretazione estensiva in assenza di una ''eadem ratio''».

La sentenza di appello chiarisce, così, con una lettura sistematica e letterale della disposizione che «il fatto che il divieto di falcidia dell'Iva sia previsto esclusivamente dalla predetta disposizione e non sia inserto nell'ambito della disciplina generale del concordato, posta dall'art. 160 lf, costituisce un argomento di natura sistematica che non può essere trascurato. Se poi si esamina il testo dell'art. 182 ter, «che recita ''con riguardo all'imposta sul valore aggiunto e alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento'', si constata che il legislatore ha configurato il divieto di falcidia del credito Iva come un limite imposto espressamente alla 'proposta' di transazione fiscale, per cui ritenere l'operatività anche nel caso in cui il debitore non abbia inteso far ricorso a tale procedura costituisce non solo una interpretazione estensiva non consentita per difetto di eadem ratio, ma anche una interpretazione che contrasta con la lettera della legge». La corte ligure ha inoltre sostenuto che diversamente opinando e considerando l'Iva come imposta non suscettibile di falcidia si determinerebbe un ingiustificato perseguimento di interessi meritevoli di tutela, tanto da dovere considerare illegittima anche la falcidia Iva in sede fallimentare o esecutiva, mentre il legislatore tale ipotesi non l'ha in alcun modo prevista, essendo pacifico che in caso di concordato fallimentare l'Iva possa essere pagata a stralcio.

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