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Funzioni invariate quindi la spesa resterà la stessa

del 06/07/2013
di: Luigi Oliveri
Funzioni invariate quindi la spesa resterà la stessa
Il disegno di legge costituzionale approvato ieri dal consiglio dei ministri ha una conseguenza pratica: le province non saranno più considerate come enti che, con pari dignità degli altri, costituiscono l'ossatura della Repubblica, sicché sarà possibile con leggi ordinarie sopprimerle definitivamente. Come il testo del 2011, si rimette, poi, alle regioni la scelta di istituire o meno enti locali «di area vasta» al posto delle province. Saranno, dunque, le leggi regionali a specificare se sorgeranno o meno tali enti e quali competenze avranno: unica certezza è che gli enti territoriali di matrice regionale non potranno istituire altri enti, agenzie ed organismi, comunque denominati, per lo svolgimento delle loro funzioni.

L'entrata in vigore delle leggi regionali, da adottare entro sei mesi dalla vigenza della riforma costituzionale, segnerà la soppressione definitiva delle province, come anche la soppressione di qualsiasi altro ente che svolta funzioni di area vasta (tipo autorità d'ambito), salvo le forme associative dei comuni.

Qualora le regioni non dovessero legiferare nei termini, le province restano in ogni caso soppresse e le loro funzioni relative funzioni sono redistribuite ai comuni, ma le regioni potranno, con legge, comunque assumere quelle non adeguate al livello comunale. Il ddl elimina anche le città metropolitane dall'elenco degli enti costituenti la Repubblica e rinvia ad una legge ordinaria dello Stato la loro futura eventuale attivazione. Ovviamente, il testo del ddl costituzionale non rappresenta che solo il primo passo verso l'abolizione dell'ente di area vasta, poiché non basta la semplice cancellazione dalla Costituzione per eliminarlo. Per questa ragione si attende un ulteriore disegno di legge per la fine di luglio, col quale regolamentare il nuovo assetto ordinamentale che deriverebbe dall'abolizione delle province. I problemi operativi, fin qui mai affrontati nel dettaglio, nemmeno dalla spending review di Monti considerata incostituzionale, sono molteplici. In primo luogo, quello delle conseguenze finanziarie derivanti dall'abolizione. Manca una stima ufficiale dei risparmi. I servizi studi del parlamento chiarirono che con i decreti Monti al massimo il risparmio sarebbe stato di 65 milioni di euro, ma nel bilancio dello Stato non è mai stata contabilizzata voce di risparmio alcuna. Il ministro Giarda, prima di chiudere il mandato, stimò 500 milioni di risparmio; secondo la Cgia di Mestre la cifra è di 510 milioni, mentre l'Istituto Bruno Leoni è giunto a stimare 2 miliardi.

Sta di fatto, che le province muovono un volume di spesa annuo di 11 miliardi; poco meno di 2,5 sono destinati al personale, altri 5,5 miliardi circa vanno in spesa corrente (appalti, servizi), circa 3 miliardi sono per spese in conto capitale e circa mezzo miliardo per rimborso di prestiti. Dietro a queste spese vi sono le destinazioni: costruzione e manutenzione di scuole superiori e strade provinciali, collegamenti, trasporto pubblico locale, politiche del lavoro, formazione, pianificazione urbanistica, ambiente ed ecologia tra le principali, cui aggiungere deleghe regionali, come turismo e agricoltura. La cancellazione delle province non comporta eliminazione delle funzioni gestite, che andranno ripartite tra altri soggetti, sicché la spesa difficilmente potrà subire una reale contrazione.

Il ministro Delrio, che ricorda bene la sua esperienza di presidente dell'Anci, punta molto nell'assegnazione delle funzioni provinciali ai comuni. La delicatezza della scelta è estrema. Si pensi alla questione delle politiche del lavoro. I dipendenti provinciali sono circa 57000: il loro licenziamento comporterebbe un risparmio di 2,5 miliardi circa, ma se le funzioni provinciali saranno trasferite verso altri enti, verosimilmente il personale si sposterà con esse, per quanto l'unica vera voce netta di risparmio derivante dall'eliminazione delle province apparirebbe il licenziamento dei loro dipendenti. Ma, per un Governo che si è impegnato a stabilizzare 130 mila «precari» pubblici simile decisione apparirebbe ardua, a meno di non intendere scambiare con il licenziamento dei provinciali la stabilizzazione dei lavoratori a termine.

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