
Sul punto, i Supremi giudici hanno chiarito, prima di tutto, che l'esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere l'esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi. Questo anche con un onere economico minimo, con l'intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero con la possibilità di sostituirsi , nell'espletamento di alcune incombenze. Il tutto al fine di poter ritenere che, il reddito prodotto, non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che, legittimamente, il reddito dello studio associato viene assoggettato all'imposta regionale sulle attività produttive (Irap), a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati.
Dunque, la Cassazione ha bocciato la decisione della Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna che aveva accordato il rimborso a due commercialisti, strutturati in un piccolo studio associato, che non avevano né dipendenti né collaboratori ma che erano dotati solo del minimo indispensabile, ovvero un'automobile ciascuno.
Questo perché, nonostante l'assenza di un aiuto da parte di terzi, la reciproca assistenza fra professionisti può far lievitare il reddito e quindi essere parametro di autonoma organizzazione. In molti altri casi la Suprema corte aveva sancito l'irrilevanza del fatturato ai fini Irap. Ora, la vicenda si chiude con una decisione nel merito che vede respinta la domanda di rimborso dell'imposta già versata. Anche la Procura generale aveva chiesto di accogliere il ricorso dell'amministrazione finanziaria.
© Riproduzione riservata