
A segnare un punto in favore della meritocrazia è stata la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 5119 del 3 marzo 2010, ha accolto il ricorso principale di un dipendente di banca che non aveva ottenuto la promozione a funzionario perché nel concorso interno l'istituto di credito non aveva tenuto conto, fra l'altro, del suo curriculum rispetto a quello degli altri.
L'uomo aveva subito fatto causa all'istituto di credito di fronte al Tribunale di Cosenza che in parte aveva accolto la sua istanza. Poi era stata la volta della Corte d'Appello di Catanzaro che aveva riconosciuto un piccolo risarcimento. Contro la decisione lui ha fatto ricorso in Cassazione contestando che la probabilità di ottenere il posto di funzionario non andava calcolata su dati numerici ma piuttosto sulla comparazione del suo curriculum con quello dei colleghi che lo precedevano in graduatoria.
La Cassazione ha accolto questa tesi sancendo che «nelle procedure concorsuali il potere discrezionale del datore di lavoro trova il limite nella necessità che lo stesso fornisca, in conformità ai criteri precostituiti del bando e, comunque, di quelli di buona fede e correttezza, adeguata ed affettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione e, in difetto, il danno che al lavoratore può derivare per perdita di chance va risarcito sulla base del tasso di probabilità che il lavoratore aveva di risultare vincitore, qualora la selezione fra concorrenti si fosse svolta in modo corretto e trasparente, e non può, pertanto, esimere i giudice dall'apprezzare in concreto ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo».