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La giustizia Ue condanna l'Italia e stoppa i fondi

del 20/04/2013
di: Beatrice Migliorini
La giustizia Ue condanna l'Italia e stoppa i fondi
Stop ai finanziamenti europei per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti in Campania. L'Italia non ha dato attuazione alle misure necessarie né per lo smaltimento, né per la raccolta. I 46 milioni di euro stanziati dall'Unione negli ultimi dieci anni, non hanno prodotto risultati. Questo è quanto emerge dalla sentenza 50/13, del Tribunale dell'unione europea, pubblicata ieri. Una condanna a tutto campo quindi, a seguito della quale, l'Italia rischia di essere non solo, nuovamente deferita di fronte alla Corte di giustizia, per la seconda volta dal 2010, ma anche di essere pesantemente multata. La sentenza è infatti frutto della mancata attuazione da parte dello stato, di quanto previsto nella prima condanna della Corte. Al centro del contenzioso i 46,6 milioni di euro di finanziamenti provenienti dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). Secondo il piano operativo presentato dalla Campania e approvato dalla Commissione nel 2000, la misura 1.7 sul sistema regionale di gestione e smaltimento dei rifiuti, il quantum stanziato doveva servire a cofinanziare la realizzazione di un programma per regolare tutto il ciclo dei rifiuti, dalla raccolta differenziata fino allo smaltimento. Bruxelles nel 2008 però, a seguito della inattuazione del programma specifico previsto in accordo con l'Unione, che ha visto il perdurare della situazione di emergenza in Campania, ha deciso di sospendere l'erogazione dei fondi europei. Questo, dopo aver aperto l'anno precedente, una procedura d'infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto della direttiva 12/2006. Opponendosi a questa decisione, l'Italia ha presentato ricorso al Tribunale europeo, sostenendo che i finanziamenti Fesr, «erano destinati a specifiche opere e azioni previste nel quadro della misura 1.7 e che quindi non potevano essere bloccati a causa di una procedura d'infrazione che non aveva come oggetto specifico le singole operazioni». Una difesa strutturata quindi su aspetti formali e non sostanziali. L'Italia infatti lamenta l'esistenza di un vizio di motivazione nel procedimento di infrazione, consistente nella mancanza di un richiamo specifico alle singole voci contenute nella misura 1.7. Per l'Italia questa tesi difensiva si è trasformata in una sorta di autocondanna. Il Tribunale europeo infatti, in prima battuta sottolinea come «la misura 1.7, così come le operazioni, sotto forma di progetti, in essa incluse, si riferirebbero proprio alla fase di recupero a mezzo di raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti». Il Tribunale poi, sottolinea anche come «era la gestione dei rifiuti in Campania nel suo complesso a risultare non soddisfacente con riferimento alla necessità di assicurare una corretta procedura di raccolta e smaltimento dei rifiuti, e quindi anche le azioni previste nella misura 1.7, che include azioni inerenti agli impianti di stoccaggio, trattamento, smaltimenti mento dei rifiuti, nonché la costruzione di impianti atti allo scopo». Ad oggi, la possibilità che resta all'Italia è quella di fare nuovamente ricorso di fronte alla Corte di giustizia dell'Ue, sempre con il rischio che nel frattempo, arrivi la multa prevista per non avere ottemperato alla prima sentenza della Corte.

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