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Le misure di antiriciclaggio non funzionano

del 28/03/2013
di: di Annalisa De Vivo Componente Comitato Scientifico Fondazione Centro Studi UNGDC
Le misure di antiriciclaggio non funzionano
Con riferimento alle misure antiriciclaggio previste dal dlgs 231/2007, l'inasprimento delle attività di ispezione della GdF presso gli studi professionali rende quanto mai opportuna una riflessione sullo stato dell'arte.

Invero, se il perimetro della riflessione fosse circoscritto alle segnalazioni di operazioni sospette provenienti dai professionisti si dovrebbe concludere che l'obiettivo del legislatore è naufragato. Nel corso del primo semestre del 2012 alla Uif sono pervenute, su un totale di 1113 segnalazioni inviate da professionisti, solo 31 segnalazioni da parte di dottori commercialisti e 10 da parte di esperti contabili.

Il dato è a dir poco deludente, posto che l'impianto generale della normativa antiriciclaggio, di matrice comunitaria, si fonda proprio sul presupposto che la collaborazione da parte dei destinatari della disciplina possa consentire l'intercettazione di operazioni di criminalità economica che sottendano reati di riciclaggio.

Nondimeno, gli studi professionali sono letteralmente oppressi da misure che, ove adottate pedissequamente, di fatto rischiano di paralizzarne l'attività e che costituiscono, al di là del dichiarato fine di prevenzione e contrasto ai reati di riciclaggio, l'ennesimo presidio antievasione fiscale.

La «collaborazione attiva» richiesta dal legislatore ai professionisti si traduce, in concreto, nell'adozione di idonee procedure di adeguata verifica della clientela, conservazione dei documenti, registrazione dei dati, valutazione del rischio e comunicazione: il tutto al fine di individuare eventuali operazioni sospette di riciclaggio da segnalare tempestivamente alla Uif.

A tal fine, la nostra categoria ha dovuto acquisire familiarità non solo con la normativa primaria, ma anche con la regolamentazione attuativa e con la prassi applicativa, indispensabili per la corretta predisposizione dei presidi obbligatori ex lege. Ed è proprio dalla prassi che promanano alcune delle indicazioni maggiormente restrittive, frutto di un'interpretazione non sempre conforme al dato letterale della norma. Si pensi all'ambito applicativo degli obblighi di adeguata verifica della clientela, esteso in via squisitamente interpretativa a un insieme di attività professionali che nulla hanno a che vedere né con le «operazioni» realizzate tramite una prestazione professionale, né tantomeno con i presupposti del riciclaggio.

Con riferimento alla registrazione delle informazioni, poi, non si può fare a meno di ricordare che la direttiva 60/2005/CE non contempla alcun obbligo di registrazione, limitandosi a prevedere l'imposizione, nei confronti dei destinatari della disciplina, di un obbligo di conservazione dei documenti.

In altre parole, l'adempimento più pesante con il quale normalmente si misura la tenuta degli studi professionali è stato imposto non già a livello comunitario, bensì dal nostro legislatore, che in tal modo ha aggiunto un altro importante tassello alla lotta all'evasione fiscale.

Qualche considerazione critica, dunque, si impone.

Non pare davvero che tutto ciò che è richiesto ai professionisti sia essenziale al perseguimento degli scopi della normativa, né che il proliferare della massa cartacea (sotto forma di fascicoli piuttosto che di registri) richiesta dal dlgs. 231/2007 sia davvero indispensabile all'individuazione di potenziali riciclatori.

Ma soprattutto non pare possibile che, all'atto dei controlli sui professionisti, l'attenzione del controllore si sposti inopportunamente dalle attività del potenziale riciclatore a quelle degli studi professionali.

La collaborazione attiva richiesta ai professionisti dal legislatore è senza dubbio connaturata alle funzioni di interesse pubblico ad essi riconosciute. In quest'ottica non può e non deve essere considerato responsabile il rifiuto tout court degli obblighi antiriciclaggio; di contro, può e deve essere considerata urgente e improcrastinabile la razionalizzazione degli adempimenti, eliminando quelli non espressamente previsti dalla legislazione comunitaria e richiedendo ai professionisti un adempimento corretto e conforme alla norma primaria di tutti gli altri.

Solo in tal modo, nel complesso sistema di prevenzione del riciclaggio, è possibile ricondurre il ruolo dei professionisti alla loro naturale e fisiologica sfera d'azione, garantendo allo Stato la loro collaborazione attiva, ma al contempo liberando gli studi professionali dalla gogna di inutili adempimenti.

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