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Tagli: i sindaci minacciano le dimissioni in massa

del 22/11/2012
di: di Francesco Cerisano
Tagli: i sindaci minacciano le dimissioni in massa
La minaccia è di quelle forti, anche se ovviamente prima di tradurla in realtà i sindaci faranno di tutto per evitarla: dimissioni in massa e consegna delle fasce tricolori nelle mani del governo. A tanto è arrivato lo scontro istituzionale dei comuni con l'esecutivo, dopo che tra tagli lineari, tagli ai trasferimenti a causa della sovrastima del gettito Imu, estensione del patto di stabilità dal 2013 ai municipi sotto i 5.000 abitanti, patto di stabilità che impedisce di investire e pagare le imprese, gli enti hanno inanellato una serie di batoste tali da rendere impossibile chiudere i bilanci. Ieri l'Anci ha riunito oltre mille sindaci a Milano per lanciare a Monti e ai suoi ministri tecnici un ultimatum: se entro il 29 novembre dalla commissione bilancio del senato (che in quei giorni starà esaminando la legge di stabilità) non arriveranno le risposte attese, l'ufficio di presidenza deciderà modalità e tempi delle dimissioni di massa dei primi cittadini.

Nel corteo che ieri si è snodato per le vie del centro fino a piazza della Scala c'erano sindaci di tutti i colori politici: destra, sinistra, leghisti, persino grillini (il sindaco di Parma Federico Pizzarotti). E provenienti da realtà molto diverse. I «super-sindaci» (Gianni Alemanno, Piero Fassino, Giuliano Pisapia) fianco a fianco a quelli dei piccoli comuni, la maggior parte dei quali si trova in Piemonte e Lombardia (di qui la decisione di tenere la manifestazione a Milano). Tutti concordi nel ritenere che i rapporti tra governo e comuni abbiano raggiunto un punto di non ritorno. «Non possiamo continuare ad aumentare la pressione fiscale sui cittadini, non siamo più disponibili a metterci la faccia, a incassare per conto dello stato tasse che la gente paga, credendo di pagarle al comune per ricevere servizi e assistenza, e che invece vanno allo stato per fare cassa», ha tuonato dal palco il presidente dell'Anci Graziano Delrio. Il riferimento è ovviamente a quel grande equivoco fiscale che va sotto il nome di Imu (imposta municipale solo nel nome ma dalla forte connotazione erariale). Ma non solo. «Nel 2013, se non ci saranno proroghe, arriverà anche la Tares (la Tassa sui rifiuti e i servizi indivisibili ndr), il governo non si illuda di fare lo stesso», ha ammonito il sindaco di Reggio Emilia.

Ma oltre a non voler recitare la parte degli esattori insaziabili, i sindaci sono preoccupati di far quadrare i conti. Appena chiusi i bilanci 2012 (la dead line per l'approvazione dei preventivi quest'anno è via via slittata fino al 31 ottobre) c'è da pensare a quelli 2013 e le prospettive sono tetre. Il disallineamento (tra dati del Mef e dati dei comuni) degli importi dell'Imu rende impossibile predisporre bilanci attendibili e a nulla vale l'assicurazione fatta dal governo che alla fine nel 2013 i conti torneranno «È come se ci stessero dicendo di dichiarare il falso, ma noi abbiamo bisogno di certezze adesso, ecco perché abbiamo deciso di sostenere i comuni che intenderanno fare ricorso contro il Mef», ha osservato Delrio.

E poi c'è il patto di stabilità (o di «stupidità» come ribattezzato da Giuliano Pisapia) che penalizza i comuni virtuosi, impedendo ai sindaci di spendere i risparmi che hanno in cassa, senza neppure fungere da deterrente per l'accumulo di debiti. Come dimostrano i sempre più frequenti casi di enti locali a rischio default. Delrio sul punto va giù duro: «Ci sono 10 miliardi di risparmi che i comuni non possono utilizzare per fare investimenti e pagare le imprese e di cui il governo si fa bello a Bruxelles». Piero Fassino rincara la dose: «Fatta 100 la spesa pubblica, il 55% proviene dalla pubblica amministrazione centrale. Eppure il governo preferisce strangolare i comuni piuttosto che iniziare a ridurre gli sprechi a livello statale». A complicare ulteriormente le cose si è aggiunto poi l'obbligo per tutte le p.a. di pagare i creditori entro 30 giorni a partire dal 2013. «È irrealistico poter rispettare questa tempistica», lamenta il sindaco di Potenza Vito Santarsiero, « e questo vorrà dire che andremo incontro al pagamento di interessi moratori ancora più salati per il ritardo nei pagamenti».

I piccoli comuni, fino ad ora esclusi dalle strettoie del patto di stabilità, potrebbero presto finirci dentro se verrà confermata l'estensione dei vincoli contabili a tutti gli enti con meno di 5.000 abitanti a partire dall'anno prossimo. Il tutto mentre i mini-enti sono chiamati a gestire in forma associata le funzioni fondamentali e mettersi insieme attraverso unioni o convenzioni. «L'estensione del patto di stabilità ai piccoli comuni rischia di strangolare il percorso verso l'associazionismo», mette in guardia Mauro Guerra, coordinatore Anci piccoli comuni.

La legge di stabilità (su cui ieri è stata votata la fiducia alla camera) nel suo percorso al senato sarà l'ultima occasione per dare ai comuni le risposte che cercano.

In caso contrario, avvertono i sindaci, le responsabilità dovranno essere equamente condivise tra governo e parlamento senza scaricabarile («a quel punto», sbotta Giuliano Pisapia, «sarà questo governo non eletto dal popolo e questo parlamento di nominati ad assumersi la paternità di aver ridotto in dissesto i comuni»).

Ieri, dopo la manifestazione in piazza della Scala la delegazione dell'Anci ha incontrato in prefettura a Milano il ministro per i rapporti con il parlamento Piero Giarda che si è impegnato «a riportare il malessere dei comuni al premier Monti». Poi è stata la volta del segretario della Lega Roberto Maroni, mentre oggi in agenda c'è un faccia a faccia con i segretari di Pd e Pdl, Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano.

Se il senato e il governo non manterranno le attese il 29 novembre i sindaci svestiranno la fascia tricolore e rimetteranno le deleghe nelle mani del governo. «Non per disobbedire alle leggi, ma per tutelare le comunità locali che ci hanno eletto visto che non siamo più in grado di erogare servizi ai cittadini», precisa Delrio.

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