Mondo agricolo in stand by per verificare l'effettiva armonizzazione tra l'art. 62 del decreto legge liberalizzazioni (dl 1/2012) e la direttiva europea sui ritardati pagamenti (2011/7/Ue) tra pubblica amministrazione e fornitori. Il nocciolo del problema sta nella perentorietà dei termini di pagamento introdotti dalla disciplina nazionale, sulle contrattazioni tra privati, più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla direttiva Ue. Mentre nel primo caso infatti viene sancito il rispetto di tempi rigidi per i pagamenti nel comparto agroalimentare, lo schema di decreto legislativo sui ritardi di pagamento, approvato il 31 ottobre scorso dal Consiglio dei ministri, lascia alle parti un margine di libera iniziativa contrattuale (si veda ItaliaOggi del 2/11/2012). È quanto emerso nell'ambito della riunione tecnica tra le principali organizzazioni di categoria e i tecnici del ministero sull'attuazione dell'art. 62. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, nessuna problematica di rilievo è stata sollevata dai rappresentanti agricoli, salvo appunto verificare l'eventuale contrasto tra l'applicazione delle due normative. Il Mipaaf, da parte sua, sta preparando, insieme al ministero dello sviluppo economico, delle risposte alle domande più frequenti da parte degli operatori circa l'effettiva applicabilità delle norme. Il problema sollevato nell'ambito della riunione riguarda il fatto che la normativa appena approvata, che recepisce la direttiva n. 2011/7/Ue, del 16 febbraio 2011 del Parlamento e del Consiglio europei, introduce la possibilità che nelle transazioni tra privati il termine di pagamento sia a trenta giorni, salvo diversa indicazione contrattuale. Tuttavia è consentito alle parti stabilire un diverso termine di pagamento. Che, di regola, non dovrà superare i sessanta giorni, ma potrà essere superiore, se concordato in forma espressa e non gravemente iniquo per il creditore. Al contrario, l'articolo 62 del decreto liberalizzazioni impone per i pagamenti alle imprese tempi perentori: e cioè trenta giorni per i prodotti deteriorabili e sessanta per quelli non soggetti a deperibilità. L'armonizzazione fra la direttiva europea e disposizioni nazionali più restrittive non è, però, un problema solo italiano. Secondo quanto riportato da ItaliaOggi del 3/11/2012, esistono in diversi paesi europei come Francia, Ungheria, Gran Bretagna e Spagna diverse iniziative legislative sul tema. Ma il riferimento normativo comunitario di solito evocato dai legislatori nazionali è costituito dagli articoli 101 e 102 Tfue, contro le pratiche commerciali scorrette.