Consulenza o Preventivo Gratuito

Il commercialista in tempo di crisi, consigli utili

del 25/10/2012
di: Giulia Picchi info@marketude.it
Il commercialista in tempo di crisi, consigli utili
Guerra di prezzi. Battaglie sulla qualità del servizio offerto. Campagne di educazione della propria clientela. Stando alle conversazioni che si leggono sui social media, ai confronti nei forum o anche solo guardando i siti internet, non sembrano esserci più dubbi: il contesto di riferimento viene dipinto come un'arena in cui a fronteggiarsi sono scesi in campo da un lato i professionisti e dall'altro i clienti.

A queste tensioni si aggiunge poi anche una semplice regola di mercato: da un lato la domanda si riduce, perché la crisi continua a decimare le imprese, dall'altro l'offerta aumenta, rendendo disponibili al mercato una serie di alternative che sollecitano il cliente a «fare shopping» e che riducono il professionista a un mero fornitore di servizi.

Senz'altro complice questa situazione, è, di conseguenza, radicalmente cambiata anche la visione dei commercialisti nei confronti del marketing: da pratica disdicevole, segno di scarsa professionalità e indice di uno stato di bisogno, a strumento utilissimo per raggiungere più di tutto un preciso risultato, acquisire nuovi clienti.

Ma è qui che cominciano le difficoltà. Perché se il codice deontologico ha definitivamente sdoganato la possibilità di fare pubblicità alla propria attività «con ogni mezzo» (art. 44 del Codice deontologico approvato il 9 aprile 2008) mancano (correttamente, s'intende) i riferimenti in merito a come farlo e a quali strumenti usare, salvo il richiamo a ispirarsi al buon gusto e all'immagine della professione. La via più breve, quindi, è quella di copiare quello che hanno fatto gli altri professionisti contraddicendo in maniera plateale la prima regola da seguire in un mercato che agli occhi dei clienti è totalmente indifferenziato: trovare una via per distinguersi. Si sprecano così garanzie di qualità, prezzi competitivi, soluzioni personalizzate, consulenze a 360° su tutti i materiali informativi dello studio, ma si potrebbe dire di tantissimi studi visto che sono tutte uguali. La prima sensazione di chi guarda è di stare assistendo a una vera e propria corsa verso gli strumenti di comunicazione senza aver fatto prima le dovute riflessioni o almeno essersi dati una risposta all'unica domanda ineludibile in qualsiasi piano di marketing (e di comunicazione): per che cosa voglio essere riconosciuto dal mercato? Qual è la caratteristica peculiare che mi contraddistingue dagli altri 100 mila e più professionisti? Alla luce dei mille siti uguali, delle rassicurazioni tutte identiche che si leggono nelle brochure e persino delle fotografie usate per catturare l'attenzione, al cliente non è dato saperlo.

Tra l'altro la pratica, chiamiamola così, del «plagio di brochure» è ancora più curiosa se si pensa che ciascun professionista è nel suo intimo convinto di essere migliore del suo diretto concorrente. Le ragioni che spingono a copiare proprio da lui rimangono quindi un enigma inspiegabile.

La seconda sensazione sempre di chi guarda è di trovarsi di fronte a un vero e proprio soliloquio: chi sono, che cosa faccio, come lo faccio (già più raro), con chi lo faccio (i più magnanimi).

«Per chi lo faccio» invece resta spesso un mistero trincerato dietro a classificazioni talmente ampie da lasciare il potenziale cliente nel dubbio interpretativo: piccole e medie imprese, liberi professionisti, ecc. Perché invece non specificare in modo chiaro le categorie o i settori di appartenenza? Perché non scrivere giornalisti, dentisti, medici o imprese operanti nel settore dolciario, produttori di caffè, ecc. in funzione di una propria particolare expertise?

E per quanto riguarda le tariffe applicate? Perché il fatto di specificarle (almeno attraverso alcuni strumenti di comunicazione) deve necessariamente richiamare l'idea del «low cost»? Tutti quando si trovano nei panni del cliente e acquistano un servizio vogliono sapere quanto gli verrà a costare. Hanno bisogno di farsi i conti, devono capire come inciderà la spesa sul loro budget. Il tema è quello della trasparenza semmai, non certo quello della svendita.

Il cliente è ancora molto lontano dall'essere al centro dell'attenzione del professionista, checché se ne dica, ma più che altro per una mancanza di autoanalisi da parte del professionista stesso a cui manca spesso l'attitudine a valutare le proprie capacità in funzione delle richieste del suo vero datore di lavoro, il cliente.

Eppure la sensazione è chiara: «I clienti non sono più disposti a pagare per quello che devono fare ma solo per quello che vogliono fare» ha detto di recente un commercialista durante un'intervista. Se questo è vero quanti sono i professionisti che hanno contezza di quello che i loro clienti vogliono davvero fare? Di quali siano i loro piani per i prossimi tre anni?

Di quali attività abbiano bisogno per conseguire i loro obiettivi? E (perché no?) di quali contatti possano essere necessari per portare a termine i loro progetti? E alla luce di queste considerazioni quanti commercialisti stanno orientando le loro comunicazioni e, soprattutto, il loro modus operandi in questa direzione?

I professionisti (tutti, non solo i commercialisti) si trovano oggi a dover sottolineare al cliente (e una volta non era così) quale sia il loro vero valore aggiunto: la capacità di guardare alla situazione nel suo complesso, di prospettare le alternative a disposizione, di evidenziare i rischi che le diverse scelte comportano, di trovare la soluzione più adeguata in funzione del contesto, di poter mettere a sua disposizione gli interlocutori opportuni, di accompagnarlo giorno dopo giorno, aiutandolo a crescere o supportandolo nei momenti di difficoltà. A parte lasciare il dubbio che tutto questo sia ancora sufficiente e non dato invece per scontato, evidentemente negli anni non è stato sempre così altrimenti non si spiegherebbe lo smarrimento del cliente, a cui oggi, infatti, c'è bisogno di spiegargli addirittura a che cosa serve un commercialista, perché e come potrebbe essergli utile.

E questa considerazione ne nasconde un'altra che attiene in maniera diretta alla gestione dello studio, con evidenti impatti sull'organizzazione interna. Se il cliente, infatti, non è più disponibile a pagare per quello che deve fare, non è difficile intuire come le attività ordinarie siano le prime a subire una spietata concorrenza sul prezzo, peraltro nemmeno solo da parte di altri professionisti. Poiché però queste attività ordinarie sono da sempre considerate lo zoccolo duro degli studi, urge riflettere attentamente su come vengono fatte le cose e di conseguenza sui processi interni perché sprechi e perdite di tempo e altre risorse non sono più tollerabili. Tecnologia ma anche delocalizzazione possono essere una risposta per chi non vuole abbandonare un segmento di mercato altamente sotto pressione.

vota