Consulenza o Preventivo Gratuito

Prevenzione: Ingegneri a tutela del territorio italiano

del 12/09/2012
di: Pagina a cura di Simona D'Alessio
Prevenzione: Ingegneri a tutela del territorio italiano
All'ingegnere non interessa «costruire tanto per costruire, cementificare l'Italia per pura brama economica». Al contrario, vuole svolgere la propria attività calibrandola sulle «reali esigenze del territorio. E, proprio perché ne ha a cuore la tutela, è pronto a impegnarsi nella prevenzione delle conseguenze delle calamità naturali, estremamente gravose sia in termini di vite umane, sia sul versante della riedificazione delle strutture, per compiere una concreta messa in sicurezza del paese». Un messaggio, quello lanciato dal vicepresidente del Consiglio nazionale degli ingegneri Fabio Bonfà dalle colonne di ItaliaOggi, rivolto alle istituzioni, perché «sappiano di poter contare sulla competenza e sullo spirito di collaborazione della nostra categoria». Anticipare le emergenze (è stato calcolato che almeno il 50% del suolo nazionale è ad elevato rischio sismico, pericolo che riguarda circa il 40% dei comuni della penisola) investendo in sicurezza, sarà uno degli argomenti principali che verranno affrontati a partire da questa mattina, a Rimini, nel corso del 57° congresso del Cni, che si concluderà venerdì 14 settembre. Inoltre, anticipa Bonfà, «analizzeremo le possibilità di sviluppo economico ed occupazionale nei vari settori (edilizia, elettronica e informatica, «automotive», aerospazio, produzioni alimentari, ingegneria tissutale), per ricordare, soprattutto ai giovani, che le opportunità di lavoro ci sono, malgrado la crisi. E vanno di pari passo con l'evoluzione tecnologica».

Domanda. Cominciamo proprio da qui, dalle nuove chance di carriera. Dove ricercarle e come coltivarle?

Risposta. Occorre iniziare con una premessa: la professione di ingegnere è vitale per superare la stagione di crisi che attraversiamo, essendo strettamente legata ai processi di modernizzazione del paese. E la progettazione dei nuovi materiali, che permetterà a tutti i comparti, dal civile all'industriale, arrivando fino a quello elettronico, applicazioni fino a ieri impensabili, sta rappresentando un'innegabile rivoluzione. Credo, infatti, che la ricerca e l'innovazione tecnologica, elementi che trasformeranno sempre di più il volto della nostra attività, comporteranno nel tempo ricadute rilevanti sulla società e avranno effetti fondamentali sui settori in cui operiamo. Tanto per fare un esempio di strade da seguire, sono certo che i progressi scientifici incideranno fortemente sulle costruzioni, sulla domotica, sulla medicina, sull'agricoltura, sulla sicurezza ambientale, nonché sulla prevenzione, protezione e controllo del territorio. Servono, però, investimenti, orientati su ciò che è davvero vantaggioso, e di cui la gente ha bisogno. Sa quanto ci sta costando l'inadeguatezza infrastrutturale italiana? Una cifra che va dal 18 al 20% del prodotto interno lordo. Rendere più efficiente e meno dispendioso, perciò, il sistema di trasporto delle merci e delle persone, puntando fra l'altro sul potenziamento delle nostre aree portuali, non soltanto ci adeguerebbe agli standard europei ed internazionali, ma favorirebbe la nascita di nuove occasioni di impiego e la mobilità occupazionale fra le nazioni di numerose persone. Ingegneri compresi.

D. Bisognerebbe sfruttare meglio, quindi, le doti dello Stivale, bagnato per 3/4 dal mare e ricco di beni culturali?

R. Proprio così. Sotto il profilo turistico, storico e paesaggistico vi sono infinite zone da valorizzare: renderle maggiormente fruibili, attraverso una buona rete di collegamenti, darebbe ottimi frutti. L'indebolimento della nostra struttura sociale ed economica deve essere, infatti, l'occasione per ripensare allo sviluppo della figura ingegneristica, proprio mentre i segnali di ripresa appaiono, purtroppo, ancora lontani. Qualcosa va fatto subito, ad esempio, sul fronte dell'informatizzazione.

D. Che cosa intende?

R. Siamo molto in ritardo nelle procedure di digitalizzazione della pubblica amministrazione e, in particolare, nella conversione del materiale cartaceo in modelli informatizzati. La sburocratizzazione trascinerebbe con sé benefici per lo stato e, in subordine, per il nostro lavoro: tutti risparmieremmo tempo e risorse finanziarie.

D. A proposito di riduzione dei costi, fra le sollecitazioni degli esperti che hanno redatto la ricerca sul futuro della categoria («Ingegneri 2020», che sarà presentata nel pomeriggio, ndr), c'è quella di abbandonare i piccoli studi professionali «tradizionali» e aprirsi a strutture aggregate multidisciplinari. Qual è la sua opinione?

R. Le variazioni a cui fa riferimento sono già in atto, ma subiranno un'ulteriore, inevitabile evoluzione con lo scorrere degli anni. L'immagine del vecchio studio in cui agiscono soltanto il titolare ed un suo collaboratore è quasi sbiadita e sta perdendo valore e significato. Si tratta, adesso, di capire qual è la formula migliore, anche in relazione agli incarichi affidati all'ingegnere. Esiste già una filiera fra più competenze: la società d'ingegneria, lo studio associato, le collaborazioni per me sono soltanto tecnicismi. Ciò che è importante, invece, è definire ed accrescere una valida rete di abilità e specializzazioni per fornire il miglior prodotto professionale possibile.

D. Nel congresso che apre oggi i battenti il Cni insisterà sulla necessità di prevenire l'oneroso dissesto idrogeologico.

R. Una necessità, certo. Noi ingegneri, attivissimi quando c'è l'emergenza, come sta avvenendo in Emilia dopo il sisma di maggio, siamo pronti ad essere maggiormente coinvolti nella prevenzione dei disastri naturali, a partire da quella sul territorio per proseguire fino alle pratiche di trasformazione energetica e, in modo più ampio, nella realizzazione di un apparato efficace di sostenibilità ambientale. Una strategia che investe alle radici la nostra categoria: l'ingegnere, infatti, si trova al giorno d'oggi nell'impossibilità di prescindere dalle questioni etiche e di salvaguardia della collettività sia quando è impegnato sul fronte energetico, sia quando si occupa di manutenzione e riqualificazione ambientale. Abbiamo svolto rilevazioni sulle perdite per la mancata messa in sicurezza del paese (si veda la tabella nella pagina): negli ultimi 60 anni in Italia sono morte 4 mila persone, e sono stati spesi circa 200 miliardi di euro per la ricostruzione. So che non esiste la bacchetta magica, però per i costruttori privati si potrebbe agire sulla leva della defiscalizzazione degli edifici a norma, quanto all'ambito statale mi limito ad osservare che, valutando l'entità degli stanziamenti finanziari nelle fasi emergenziali, si sarebbe potuta garantire la stabilità di tutta, o quasi, l'edilizia scolastica. Ed ecco un'altra stima.

D: Quale?

R. Dal punto di vista tecnico, è di uno a 5 il rapporto fra il prezzo di una prevenzione ambientale e i danni che la sua mancanza genera. È il motivo per cui chiediamo alle istituzioni di cercare di reperire le risorse adeguate: non si tratterebbe, infatti, di erogazioni a fondo perduto. Sarebbero preziosi investimenti a tutela del nostro paese.

vota