
Nessun segreto. Hanno trenta giorni di tempo le Entrate e l'esattore del Fisco per mostrare le carte al contribuente che ha cercato invano di ottenere la definizione agevolata ex articolo 12 della legge 289/02 (la Finanziaria 2003). È vero: la legge sulla trasparenza nella pubblica amministrazione contiene una deroga espressa per il procedimento tributario (articolo 24 della legge 241/90). Ma il divieto di esibire i documenti deve ritenersi circoscritto alla fase iniziale, vale a dire agli atti preparatori del procedimento tributario adottati nel corso di formazione del provvedimento, prima che quest'ultimo sia emanato. Insomma: dopo che è scattato l'accertamento definitivo dell'imposta dovuta viene meno ogni esigenza di «segretezza». Ne sono convinti i giudici amministrativi isolani che si richiamano alla giurisprudenza «più avvertita», puntando su di un'interpretazione costituzionalmente orientata della legge sulla pubblica amministrazione.
Facoltà di controllo. Vittoria totale per il contribuente che sostiene di non essere a conoscenza del procedimento nell'ambito del quale gli si nega il condono e vuole dunque avere accesso alla relativa documentazione, chiedendo in particolare l'ostensione di quegli atti «ove fosse contenuta la firma» dell'interessato ai fini dell'adesione alla definizione agevolata: l'agente della riscossione, infatti, evidenziava la mancanza di uno dei presupposti necessari alla rottamazione dei ruoli. Concludendo: sussiste sempre il diritto del contribuente ad accedere agli atti di un procedimento tributario ormai concluso; è esattamente la situazione che si configura nel caso del «no» al condono: nonostante la loro natura, i documenti richiesti devono essere considerati accessibili. Né ha buon gioco l'Agenzia delle entrate a sostenere che sarebbe soltanto l'esattore a dover tirare fuori le carte: le amministrazioni intimate sono condannate in solido al pagamento delle spese di giudizio.
Dario Ferrara