
Questo ha trovato una conferma decisiva anche nei risultati delle perizie. Infatti, ha osservato Piazza Cavour, la molteplicità di alterazioni innestate dall'inalazione delle fibre tossiche necessita del «prolungarsi dell'esposizione». E ancora, da questo lungo periodo «dipende la durata della latenza e, in definitiva della vita, essendo ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole l'accelerazione della fine della vita». Pertanto, non significa nulla affermare che alcune delle vittime morirono in età avanzata. «La morte, infatti, costituisce limite certo della vita e a venir punita è la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa, che colposa».
Ciò a maggior ragione se si pensa che l'accumulo all'interno dei polmoni delle fibre, continuando l'esposizione, non può che crescere. Infatti tale accumulo tende a diminuire solo 12 anni dopo la fine dell'ultima esposizione. Questo è confermato dagli studi fatti sull'Eternit per Casale Monferrato che, ad avviso del Collegio di legittimità, possono essere applicati anche a casi come questi in cui i materiali lavorati erano prevalentemente di amianto ma contenevano la sostanza tossica. Per dirla con le parole dei giudici, sussiste «il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l'esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza».