
Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso di uno dei lavoratori licenziati: l'azienda ha eluso il procedimento previsto dalla legge 223/91. Sbaglia il giudice del merito a confermare la legittimità del provvedimento espulsivo adottato dalla casa di cura sulla scorta della distinzione fra licenziamento collettivo e licenziamento plurimo per giustificato motivo oggettivo; quest'ultimo, stando alla motivazione della Corte d'appello, si riferisce alla contingente soppressione di alcuni posti di lavoro, come nel caso di eliminazione di un reparto o settore produttivo, senza la più generale e definitiva finalità propria del licenziamento collettivo. Risultato: il caso di specie non rientrerebbe nel licenziamento collettivo perché il numero di dipendenti superiore a cinque è determinato dalla pacifica circostanza della soppressione del reparto cucine. Va detto invece che, in base alla legge sulla mobilità, contano soltanto il dato numerico e temporale (appunto cinque licenziamenti nell'arco di 120 giorni), e non più quello «ontologico o qualitativo» della soppressione di un reparto periferico (come è la cucina nella casa di cura). Inutile, poi, cercare l'escamotage della riduzione a soli tre licenziamenti rispetto ai sette esuberi annunciati: l'azienda non rispetta gli obblighi di comunicazione e non raggiunge l'accordo coi sindacati, tanto basta per l'illegittimità.