
Sono queste, in sintesi, i principi affermati dalla Corte di cassazione che, con la sentenza numero 13027 del 24 luglio 2012, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate.
In particolare, la sezione tributaria ha trovato legittima la procedura seguita dalla Guardia di finanza che aveva trasmesso agli uffici delle Entrate dei dati non raccolti personalmente ma rinvenuti in un verbale di ispezione dell'Inps, dal quale si evinceva, fra l'altro, la presenza di lavoratori in nero.
Questo perché, si legge in sentenza, in tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, consentito dall'art. 39, comma primo, lett. d) del dpr 29 settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l'atto di rettifica, qualora l'ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacita contributiva non dichiarata, e assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori, nel senso che null'altro l'ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla eventuale antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l'apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo.
Fra l'altro secondo la Cassazione è del tutto irrilevante anche l'altra circostanza dedotta dalla società e cioè che la contabilità era tenuta in modo regolare.
Sul punto i giudici di legittimità ricordano che «la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi dell'art. 39, primo comma, del dpr 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. Pertanto in tali casi è consentito all'ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente, come nella specie».
Anche la procura generale della Suprema corte aveva chiesto al Collegio di legittimità di accogliere i motivi presentati dal fisco.