
Il contribuente lo aveva subito impugnato puntando il dito proprio contro la procedura con la quale i dati erano stati raccolti dalle Fiamme Gialle, senza le dovuto autorizzazione. Per questo la commissione tributaria provinciale di Vicenza aveva accolto le ragioni del piccolo artigiano con sentenza confermata in secondo grado anche dalla ctr veneta. Contro questa decisione l'amministrazione finanziaria ha presentato ricorso alla Suprema corte e, questa volta, con successo. Secondo la difesa del fisco, infatti, le norme sulle autorizzazioni in caso di ispezioni e perquisizioni non sarebbero state assolutamente violate e soprattutto non avrebbero avuto come conseguenza la nullità dell'atto impositivo. La tesi è piaciuta molto ai giudici del Palazzaccio che hanno accolto i due motivi di gravame depositati. In particolare la sezione tributaria ha chiarito che «premesso che l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, richiesta dall'art. 63, primo comma, del dpr 26 ottobre 1972, n. 633, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza non tocca l'efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l'invalidità dell'atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi». Anche la Procura generale della Suprema corte, nell'udienza tenutasi al quarto piano del Palazzaccio lo scorso 24 maggio, aveva chiesto al Collegio di legittimità di accogliere le ragione dell'amministrazione finanziaria.
Ora la causa tornerà alla ctr che dovrà chiudere definitivamente la vicenda alla luce delle affermazioni fatte in sede di legittimità.
Debora Alberici