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Una soluzione per ogni problema

del 02/02/2010
di: La Redazione
Una soluzione per ogni problema
La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, dando seguito alle attività di interpretazione ed approfondimento, ha emanato altri due pareri che pubblichiamo integralmente. Altra documentazione scientifica è fruibile su www. consulentidellavoro.it

Parere (n. 3 del 26/1/2010)sul rapporto tra conciliazione ordinaria e conciliazione monocratica

Come è noto, ai sensi dell'art. 11 dlgs n. 124 del 2004, qualora nel corso di un'ispezione avviata dalla Direzione provinciale del lavoro emergano concrete possibilità di addivenire a un accordo, le parti possono estinguere la procedura ispettiva conciliando la controversia e versando i contributi previdenziali dovuti in relazione alle somme corrisposte al lavoratore.

Dunque, dalla lettura del testo normativo emerge che la conciliazione monocratica, e la conseguente estinzione dell'accertamento ispettivo, presuppongono un duplice requisito: a) il pagamento delle retribuzioni non corrisposte; b) il versamento dei contributi previdenziali che non possono essere inferiori ai minimi di legge.

Tale aspetto vale, indubbiamente, a differenziare la conciliazione monocratica dalla conciliazione prevista negli artt. 410 e 411 c.p.c., ove, per effetto della conclusione dell'accordo transattivo, gli istituti non sono necessariamente destinatari di versamenti contributivi.

Del resto, ammettendo l'equivalenza tra conciliazione monocratica e conciliazione “ordinaria”, si permetterebbe al datore di lavoro di paralizzare l'attività ispettiva attraverso la corresponsione di una semplice forfetizzazione delle somme contestate, senza alcun versamento di contributi. Ne risulterebbe, quindi, eluso lo scopo della procedura conciliativa monocratica che è quello di incentivare l'emersione del rapporto di lavoro ed il versamento della relativa contribuzione.

Ciò premesso, si può sostenere che gli effetti estintivi dell'accertamento ispettivo conseguano anche al verbale stipulato ai sensi dell'art. 410 c.p.c., allorché il datore di lavoro richieda di essere ammesso al versamento della contribuzione sulle somme corrisposte al lavoratore.

Infatti, l'art. 11 del dlgs n. 124 del 2003 attribuisce al funzionario ispettivo semplicemente il compito di promuovere un accordo tra le parti, il quale resta però nella piena disponibilità delle parti.

Dunque, nulla vieta che le parti stesse raggiungano un componimento bonario della controversia anche autonomamente ed in sedi diverse da quella monocratica.

Pertanto, in sede di conciliazione monocratica il funzionario ispettivo dovrebbe prendere atto della volontà già formalizzata nell'accordo conciliativo, ammettendo il datore di lavoro al versamento dei contributi con la conseguente estinzione dell'attività ispettiva.

Tale interpretazione non contrasta con la finalità della disposizione sulla conciliazione monocratica, atteso che, in questo caso, è comunque raggiunto lo scopo della norma, ossia il versamento dei contributi.

Viceversa, se la conciliazione “ordinaria” non ha previsto il versamento della contribuzione sulle somme erogate dall'azienda, il lavoratore singolarmente non può più vantare alcun diritto ma il verbale conciliativo non produce l'effetto estintivo sulla procedura ispettiva di cui all'art. 11 del dlgs n. 124 del 2004.

Parere (n. 4 del 29/1/2010) su Vertenza giudiziale – disciplina fiscale rivalutazione monetaria e interessi

PREMESSA

La materia della rivalutazione monetaria per crediti di lavoro è disciplinata dall'articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura civile, il quale dispone che «il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto». Dal punto di vista della individuazione del tasso d'interesse e delle modalità di calcolo si rinvia al “Regolamento su interessi legali e rivalutazione monetaria nei crediti di lavoro” di cui al dm 1 settembre 1998, n. 352.

La disposizione contenuta nel codice di procedura civile ha sollevato a suo tempo notevoli problemi interpretativi in campo tributario, circa la tassabilità di detti importi ai fini dell'imposta sul reddito.

LE INIZIALI

INCERTEZZE

In un primo momento la giurisprudenza si è orientata nella non tassabilità della rivalutazione monetaria e degli interessi. Ed infatti la Commissione tributaria centrale, aveva ritenuto che l'importo a titolo di ripristino della svalutazione monetaria dell'importo di crediti di lavoro, costituendo una forma risarcitoria per il danno derivante dall'inadempimento da parte del datore di lavoro dell'obbligo della retribuzione, e non una componente di questa, non dovesse essere assoggettata alla medesima disciplina tributaria di tale crediti di lavoro, giacché la somma liquidata a titolo di rivalutazione monetaria non dovesse rientrare, diversamente dalla ordinaria retribuzione, nella nozione di reddito da lavoro dipendente prevista (all'epoca) dall'art. 46, primo comma del Tuir ai fini dell'Irpef. Su di essa, quindi, il datore di lavoro non era tenuto ad operare la ritenuta d'acconto a norma dell'art. 23, comma 2, del dpr 29/971973 n. 600.

Tuttavia, la Cassazione con sentenza n. 717 del 2 febbraio 1985 (confermata dalla sentenza n. 912 del 6 febbraio 1985), dopo alcune pronunce nella medesima direzione della Commissione tributaria centrale, ha mutato il proprio orientamento e ha riconosciuto che la rivalutazione legale è soggetta a ritenuta d'acconto da parte del datore di lavoro, nel presupposto che detta rivalutazione «quale elemento direttamente scaturente dallo stesso rapporto di lavoro e quale componente del relativo complesso credito del prestatore, e' necessariamente assoggettata a tutte le norme giuridiche proprie, per l'appunto, del credito di lavoro e ciò ovviamente anche per quanto concerne il regime tributario»; tutto ciò con conseguente inquadramento della rivalutazione monetaria nella previsione dell'articolo 46, comma 1, dell'ora vigente dpr 29 settembre 1973, n. 597.

Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4127 del 21 giugno 1986, nell'affrontare la problematica degli interessi (non considerata dalle precedenti pronunce) ha stabilito la non tassabilità degli interessi che seguono la liquidazione della rivalutazione monetaria.

Preso atto di ciò, il ministero delle finanze con circolare 30 luglio 1988, n. 20, aveva chiarito che le somme corrisposte ai dipendenti a titolo di rivalutazione monetaria erano soggette ad imposizione allo stesso modo della retribuzione o indennità cui accedevano, ed erano, pertanto, soggette a ritenuta alla fonte; diversamente sui relativi interessi, non essendo soggetti allo stesso regime fiscale del credito cui accedevano, non doveva essere effettuata alcuna ritenuta.

Restavano, tuttavia, margini di incertezza sulla questione stante la mancanza di un univoco disposto normativo.

LA SVOLTA

LEGISLATIVA

Tenuto conto dell'incertezza il legislatore è intervenuto con l'articolo 1 del dlgs 2 settembre 1997, n. 314, dando definitiva soluzione alla problematica. Ed infatti, il citato articolo 1 del predetto decreto, ha modificato il comma 2 dell'articolo 49 del Tuir (reddito di lavoro dipendente), prevedendo espressamente che sono riconducibili tra i redditi di lavoro dipendente «le somme di cui all'art. 429, ultimo comma, del codice di procedura civile». Dunque, la predetta disposizione inquadra tra i redditi di lavoro dipendente sia la rivalutazione monetaria, sia gli interessi su crediti di lavoro dipendente, uniformandone la tassazione.

La circolare del ministero delle finanze del 23 dicembre 1997, n. 326/E, a seguito della modifica normativa, ha chiarito: «Va, peraltro, precisato che, ai fini dell'assoggettamento a tassazione, quali redditi di lavoro dipendente, non è necessario che gli interessi e la rivalutazione conseguano ad una sentenza di condanna del giudice, essendo sufficiente il fatto oggettivo della loro corresponsione e, quindi, anche se gli stessi derivano da un adempimento spontaneo del datore di lavoro o da una transazione».

Tale conclusione sembra del tutto coerente posto che tali compensi di carattere indennitario, riscossi a titolo di interessi e rivalutazione monetaria per ritardato pagamento degli emolumenti di lavoro (retribuzione, pensione ecc.), essendo stati equiparati al reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell'art. 1 del dlgs n. 314/1997, non possono che essere assoggettati a ritenute fiscali.

In particolare, per quanto concerne gli interessi su somme per crediti di lavoro, di cui all'art. 429 c.p.c., essi costituiscono un componente del credito originario e sono dovuti per il solo fatto del ritardo, rispetto alla maturazione del diritto, nel pagamento dei compensi per prestazioni lavorative, imputabile o meno a colpa del datore di lavoro. Ciò detto, poiché detti interessi hanno natura risarcitoria, ed essendo estranei all'ipotesi di cui all'art. 1499 c. c., non sono compensativi e non rientrano dunque nella previsione del secondo comma dell'art. 6 Tuir, posto che, la locuzione ivi prevista: «Interessi moratori e per dilazione di pagamento» deve essere intesa, con specifico riferimento all'art. 429 c.p.c., nel senso che costituiscono crediti di lavoro, come tali tassabili, gli interessi dovuti per il ritardo nell'adempimento, senza possibilità di distinguere tra le cause del ritardo nell'adempimento.

Per quanto concerne la rivalutazione monetaria, merita peraltro di essere segnalato che la Cassazione (Sez. lav., 27 gennaio 1989, n. 498) ha statuito che, in tema di imposte sui redditi, la rivalutazione monetaria, rappresentando una componente essenziale del credito cui accede, ha la sua medesima natura ed è, pertanto, soggetta ad identica imposizione, alla luce dell'art. 6, secondo comma, del Tuir, come modificato dall'art. 1, comma 1, del dl 30 dicembre 1993, n. 557, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1994, n. 133. Ne consegue che l'importo corrisposto per svalutazione monetaria (nel caso di specie) sull'indennità sostitutiva di ferie non godute, trovando come questa, quale sua componente essenziale, titolo immediato e diretto nel rapporto di lavoro, è soggetta alla ritenuta d'acconto di cui all'art. 23 del dpr 29 settembre 1973, n. 600.

LA MODALITÀ

DI TASSAZIONE

Sotto il profilo contenzioso, dopo alcune iniziali pronunce discordanti, si è pervenuti oramai pacificamente che, ai sensi dell'art. 17 del Tuir, tutte le somme o valori percepiti, anche a titolo risarcitorio, devono essere sottoposti a tassazione separata con applicazione della ritenuta da parte del soggetto erogatore.

Ed infatti, l'ultimo periodo della lett. a) del citato articolo 17, introdotto nel nostro ordinamento con decorrenza dal 24 febbraio 1995, dal dl 23 febbraio 1995, n. 41, stabilisce che sono soggette a tassazione separata le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo di risarcimento o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro. Tale disposizione ha il chiaro obiettivo di non far concorrere alla formazione della base imponibile del contribuente i costi per spese legali che egli deve sopportare per l'ottenimento di una determinata somma o valore, derivante dalla risoluzione del rapporto di lavoro, attraverso un procedimento giudiziario ovvero per atto transattivo.

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