
Dalla direttiva n. 48/2012, dello scorso 28 maggio, dell'Agenzia delle Entrate (ItaliaOggi dell'1/6/2012), che la direzione centrale affari legali ha inviato ai propri uffici periferici, non si può che apprezzare la volontà di «velocizzare» l'annullamento di atti illegittimi o infondati, attraverso l'istituto deflattivo dell'autotutela.
Preliminarmente, non si può che ricordare che l'autotutela è un potere-dovere dell'Amministrazione pubblica, oltre che un esempio di tax compliance, in presenza di atti infondati e/o illegittimi, che permette di evitare l'avvio di un aspro contenzioso tra le parti (Amministrazione e contribuenti), migliorando il rapporto della stessa Pubblica amministrazione con i cittadini, anche in presenza di un atto di natura tributaria.
Peraltro, poste alcune problematiche emergenti sugli effetti ripristinatori e sulla potenziale risarcibilità del danno subito comunque dal contribuente, l'istituto può anche essere utilizzato per annullare un atto che, sebbene fondato e legittimo, risulta però «viziato» (cosiddetta «autotutela sostitutiva»).
Dal documento in commento si rileva che l'obiettivo prioritario è quello di perseguire una corretta azione nell'interesse di soluzioni legittime, imparziali ed eque, evitando la « coltivazione del contenzioso pendente, allo scopo di evitare la soccombenza certa in giudizio e ridurre il rischio della condanna alle spese di lite, con i relativi profili di responsabilità per danno erariale ».
È di tale importanza l'obiettivo perseguito, che il direttore, che ha firmato la missiva, rafforza l'invito, destinato agli uffici periferici, ad abbandonare il contenzioso « senza attendere l'istanza di annullamento » e prima che si sia « formato un giudicato sul rapporto tributario controverso ».
Plaudendo all'ambizioso proposito è, però, opportuno evidenziare che nella prassi corrente, in presenza di un atto illegittimo, infondato e/o viziato, è quasi sempre il contribuente che si fa parte attiva del procedimento poiché, una volta raggiunto dall'atto impositivo, è lo stesso che si reca dal proprio professionista per la valutazione del caso e produce, con l'aiuto di quest'ultimo, un'istanza di annullamento o propone il ricorso in sede giurisdizionale; tale attività genera, come intuibile, oneri di diversa natura (onorari, perdite di tempo e quant'altro) in capo allo stesso contribuente.
Si aggiunga che, alla presentazione dell'istanza di annullamento in autotutela, non si produce una sospensione automatica dei termini per l'impugnazione, l'annullamento è sempre discrezionale da parte dell'emittente e può essere effettuato in pendenza di giudizio ma prima del giudicato e che gli uffici, che hanno emesso l'atto, non sono obbligati a dare comunicazione sul diniego all'annullamento, anche se si deve dare atto che la maggior parte di essi tende recentemente a inviare una comunicazione, ancorché a ridosso della scadenza dei termini per l'impugnazione. In caso di inerzia da parte dell'ufficio preposto è la direzione regionale che, in surroga, può procedere all'annullamento dell'atto e, anche se i termini dell'impugnativa risultano scaduti, l'ufficio, pena assunzione della relativa responsabilità, mantiene il diritto-dovere di annullamento dell'atto illegittimo.
In effetti, da un attento esame della disciplina in commento, emerge la chiara responsabilità del funzionario, titolare del procedimento, a causa del non corretto esercizio delle proprie funzioni, nel portare avanti liti temerarie o nel disattendere la giusta istanza del contribuente (si pensi, tra le altre, alle situazioni inerenti all'errore di persona, all'errore di calcolo o della mancata considerazione dei versamenti eseguiti), con la possibilità che lo stesso sia chiamato a rispondere sia del danno erariale sia del danno subito dal richiedente, dovendo far riferimento alle fattispecie indicate dall'art. 238 c.p. ovvero l'omissione, il ritardo o il rifiuto di atti d'ufficio, che si configurano quando il pubblico ufficiale «indebitamente» omette, rifiuta o ritarda un atto dell'ufficio, cui è preposto.
Diverso è il caso della mediazione, della quale si nutrono giustificate riserve sulla reale efficacia e, soprattutto della conciliazione giudiziale, di cui all'art. 48, dlgs n. 546/1992 che, in presenza di esito incerto ma di atto legittimo e/o fondato e non viziato, concede la facoltà alle parti di definire totalmente (cessata materia del contendere) o parzialmente (estinzione parziale del processo) il contenzioso, con una forma di «transazione», anche preventivamente concordata, definita entro la prima udienza, con applicazione di sanzioni ridotte a carico del contribuente.