Quattro voti di fiducia su altrettanti maxi-emendamenti, nei quali è stata suddivisa la riforma del mercato del lavoro (S 3249). A porli ieri il governo, nell'aula del Senato, dove è iniziato l'iter di approvazione del disegno di legge che, dichiara il ministro del welfare Elsa Fornero occorre varare «non perché lo chiedono i mercati», ma perché «il paese ne ha molto bisogno per riprendere un percorso di crescita». La giornata, però, si apre con un «giallo»: poco dopo la blindatura del testo, il titolare dei rapporti con il parlamento Piero Giarda sconfessa le stesure governative dell'ultim'ora, sostenendo che «vale la versione licenziata dalla commissione». Una serie di refusi («non una scelta maliziosa, bensì un'errata trascrizione dovuta alla fretta» riferiscono fonti parlamentari) che rischiava, però, di modificare, ad esempio, la norma relativa alla perdita dell'indennità di disoccupazione per il lavoratore che non accetta un nuovo impiego. Nel primo pomeriggio di oggi si concluderà il voto a palazzo Madama, e la prossima settimana saranno i deputati ad esaminare il ddl: obiettivo dell'esecutivo è arrivare al via libera definitivo entro giugno e senza modifiche, anche se in alcuni gruppi (soprattutto nel Pd) è forte l'intenzione di apportare correzioni, intervenendo innanzitutto sulla questione degli esodati, perché si ritiene insufficiente l'imminente decreto di copertura per 65 mila persone. La riforma, uscita dal consiglio dei ministri del 23 marzo, contiene una serie di misure sulla flessibilità in entrata e in uscita, nonché sul sostegno al reddito (si veda tabella nella pagina) e nasce, ricorda a ItaliaOggi uno dei relatori, Maurizio Castro del Pdl (l'altro è Tiziano Treu del Pd), «da una lettera della Banca centrale europea all'Italia del 5 agosto scorso. Soprattutto sull'ingresso nel mercato del lavoro abbiamo apportato migliorie cospicue, regolamentando in maniera significativa l'apprendistato, rivedendo i criteri di stipula dei contratti a termine e sgomberando il campo dagli equivoci sulla genuinità delle partite Iva», conclude, «mettendo così al riparo chi esercita la libera professione».