
«Vero è che l'art. 2601 cod. civ.», hanno motivato gli Ermellini, «attribuisce anche alle associazioni professionali la legittimazione a promuovere l'azione per la repressione della concorrenza sleale». Ma questa azione, volta a reprimere i fatti di concorrenza sleale, è diversa da quella risarcitoria, meramente eventuale, prevista dal precedente art. 2600 cod. civ., e «d'altro canto appare corretta la motivazione della Corte di Appello, che esclude in radice la sussistenza di un danno risarcibile, sul rilevo che non esercita l'attività medica e non ha subito alcuna sottrazione di clientela per effetto della concorrenza sleale». La vicenda riguarda due pseudo odontoiatri di Firenze che avevano esercitato la professione senza l'abilitazione. I due erano stati accusati per esercizio abusivo della professione e avevano patteggiato la pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale. L'associazione nazionale dentisti italiani, sezione di Firenze, aveva agito civilmente contro i due, chiedendo il danno patrimoniale e non patrimoniale, oltreché la soppressione del comportamento scorretto nei confronti degli altri professionisti presenti nella regione. Il Tribunale aveva accolto tutte le domande mentre la Corte territoriale del capoluogo toscano aveva in parte modificato il verdetto escludendo che l'associazione potesse chiedere anche i danni morali (ma solo quelli patrimoniali in senso stretto). Sul punto della repressione della condotta contrarie alle regole della leale concorrenza tutti i giudici sono stati d'accordo nel riconoscere all'associazione il potere di reprimerla. Contro questa decisione l'Andi ha presentato ricorso al Palazzaccio ma senza successo. Gli Ermellini hanno respinto i due motivi di ricorso avanzati dalla difesa sostenendo che tale associazione non è la parte lesa «in prima persona». In singoli professionisti dovrebbero agire singolarmente per i danni mentre per la repressione della concorrenza sleale è sufficiente l'azione congiunta.