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La riforma non tutela il lavoro

del 10/04/2012
di: La Redazione
La riforma non tutela il lavoro
Con la circolare n. 6/2012 inizia l'esame tecnico giuridico della Fondazione studi al ddl di riforma del mercato del lavoro che darà luogo all'emanazione di una pluralità di circolari, sulla base di uno specifico calendario, distinte per tipologie di argomenti che hanno uno specifico interesse.

Con la circolare odierna (il cui testo integrale è disponibile sul sito www.consulentidellavoro.it), si analizzano i profili di criticità delle modifiche che interessano il lavoro a progetto e le altre novità in materia di lavoro autonomo. Mercoledì 11 aprile verrà diffusa una nuova circolare che analizzerà le novità del ddl in materia di lavoro a tempo determinato e le altre tipologie contrattuali. Il calendario dei commenti della Fondazione Studi prevede poi l'analisi della disciplina dei licenziamenti, del nuovo rito processuale, della norma di contrasto sulle dimissioni «in bianco» nonché le novità degli ammortizzatori sociali e le altre disposizioni del disegno di legge. Lo scopo di questi interventi è quello di fornire un contributo critico e costruttivo agli operatori del diritto del lavoro per comprendere meglio le iniziative legislative in corso nonché quello di evidenziare eventuali criticità giuridiche che potrebbero trovare una soluzione durante l'iter parlamentare.

(...) Lavoro a progetto

La norma contenuta nell'articolo 8 del ddl modifica in modo generale diverse disposizioni del lavoro a progetto con l'intento di evitare l'utilizzo distorto della tipologia contrattuale.

Le modifiche riguardano:

a) la definizione più stringente del progetto, che deve possedere i requisiti di determinatezza di cui all'art. 1346 c.c., deve essere funzionalmente collegato al risultato finale da raggiungere e non può essere identificato con l'obiettivo aziendale nel suo complesso;

b) l'eliminazione di qualsiasi riferimento al «programma di lavoro o fasi di esso»;

c) la limitazione della facoltà del datore del lavoro di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto. Il recesso può, infatti, essere esercitato nelle sole ipotesi di giusta causa o di inidoneità professionale del collaboratore, che renda impossibile la realizzazione del progetto.

Con riferimento al sub. a), il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti «meramente esecutivi o ripetitivi». La norma precisa che tali attività possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Si ritiene, tuttavia, che il requisito previsto dalla riforma trovi applicazione indipendentemente dalla previsione contrattuale ed esse possono essere individuate sulla base di criteri di ragionevolezza.

Le previsioni che consentono il recesso dal contratto a progetto vengono, sostanzialmente, equiparate ai criteri di recesso dal lavoro a termine di natura subordinata. In particolare, il recesso è consentito prima della scadenza del termine solo in presenza di giusta causa. Il committente può altresì recedere prima della scadenza del termine anche qualora siano emersi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.

(...) La norma irrigidisce anche il recesso del collaboratore che si può configurare prima della scadenza del termine con preavviso sempre che, tuttavia, tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.

La relazione illustrativa, inoltre, spiega l'ulteriore modifica contenuta nella lettera d) dell'articolo 8 del ddl. Essa, consiste in una «presunzione relativa circa il carattere subordinato del rapporto di lavoro, qualora l'attività esercitata dal collaboratore sia analoga a quella prestata dai lavoratori dipendenti dall'impresa committente, salve le prestazioni di elevata professionalità». In altri termini, la relazione spiega che se l'attività esercitata dal collaboratore è analoga a quella svolta dal lavoro subordinato, sulla scorta di un filone giurisprudenziale abbastanza consolidato, il rapporto si presume di natura subordinata, salvo prova contraria. Tuttavia, analizzando il testo del ddl emerge una previsione che appare pleonastica e sostanzialmente diversa da quanto indicato nella relazione illustrativa.

Infatti, la norma prevede che «salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». In altri termini, l'aggettivo «analoghe» è riferito alle «modalità» di svolgimento della prestazione e non «all'attività» esercitata dal collaboratore. Ne consegue che è del tutto evidente, anche senza la previsione in esame, che se un collaboratore svolgesse la prestazione con modalità «analoghe» a quelle di un subordinato, da sempre la Cassazione qualificherebbe questo rapporto come lavoro subordinato. (... )

In linea con quanto da sempre affermato dalla Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro - commissione principi interpretativi delle leggi in materia di lavoro (principio n. 1/2004 su www.consulentidellavoro.it), l'articolo 8, comma 2 del ddl, introduce una interpretazione autentica dell'art. 69, comma 1, del dlgs n. 276/2003 nel senso che la mancata individuazione del progetto determina ipso facto la trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato. (...)

Altre prestazioni lavoro autonomo. (...) L'articolo 9 del ddl prevede che le prestazioni lavorative rese da «persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto» sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

a) che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore ad almeno sei mesi nell'arco dell'anno solare;

b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più del 75% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare;

c) che il collaboratore disponga di una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.

In realtà è fatto notorio che la qualificazione fiscale di una prestazione (aver aperto la partita Iva) non incide in alcun modo nella qualificazione civilistica del rapporto di lavoro. Questo significa che già a legislazione vigente, per esempio, l'apporto di un titolare di partita Iva nelle forme previste dall'articolo 409 punto 3 del c.p.c., già qualifica il rapporto nell'ambito della collaborazione coordinata e continuativa.

(...) Dal punto di vista del campo di applicazione della norma, si fa riferimento a ogni «persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto». Pertanto, deve rientrare in questa disposizione sia una prestazione che si inquadra nell'attività di impresa sia in quella di lavoro autonomo. Salvo che, in via interpretativa, stante la declaratoria dell'articolo 9 (che fa riferimento al solo lavoro autonomo) si tende a escludere i soggetti titolari di partita Iva organizzati in forma di impresa.

Qualora ricorrano anche soltanto due dei tre presupposti indicati, opera dunque la presunzione del regime di parasubordinazione del rapporto.

La conversione avviene automaticamente, «salvo che sia fornita la prova contraria da parte del committente». La scelta, evidentemente discutibile, conferma l'approccio alla materia che, nell'ambito del condivisibile obiettivo di perseguire le violazioni delle tutele in materia di lavoro, ritiene in maniera aprioristica in senso negativo qualsiasi rapporto di lavoro diverso dal «tempo pieno e indeterminato».

Il problema dunque è che da un approccio sbagliato la correzione possa rivelarsi dannosa perlomeno quanto il vizio che si vorrebbe correggere (...). Ciò potrebbe comportare (ipotesi per nulla remota) l'effetto perverso negativo per l'occupazione, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, scaturente dal timore di tali conversioni forzose e dei costi, ingiustificati quanto una conversione ex lege avulsa dalle modalità di attuazione effettiva del rapporto di lavoro, che ne conseguirebbero. E che il pericolo sia attuale, lo dimostra la stessa preoccupazione del legislatore, che al terzo comma dell'art. 69-bis dlgs 276/2003 introdotto dall'art. 9 del ddl, differisce l'applicazione della nuova regola per i rapporti in corso a 12 mesi dopo l'entrata in vigore della prospettata riforma.

Il comma 4 del medesimo articolo 9 stabilisce che le disposizioni di cui all'articolo 61 del dlgs 10 settembre 2003, n. 276, non si applicano alle collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l'iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l'esclusione dal campo di applicazione del presente Capo. (...) A questa previsione si rivolge il contenuto del comma 4 del ddl (...) stabilendo che l'esclusione dal lavoro a progetto si realizza solo quando le collaborazioni riguardino «attività professionali intellettuali» per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione all'Albo.

L'assurdità di questa disposizione comporta il rischio che, qualora un professionista regolarmente iscritto all'ordine, non svolgesse attività riservate che caratterizzano la professione o per le quali non sia previsto un regime di esclusiva, potrebbe incorrere nel rischio di conversione della sua consulenza in rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fin dall'inizio della collaborazione, con importanti ricadute anche sugli aspetti previdenziali connessi alla precedente qualificazione del rapporto.

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