
Sparizione legittima. Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso di un politico locale coinvolto in Tangentopoli, ma poi scagionato dopo il clamoroso arresto avvenuto quasi vent'anni or sono. L'interessato chiede inutilmente al garante della privacy il blocco dei suoi dati personali nell'articolo che dava conto del provvedimento cautelare ancora presente nell'archivio online di un noto quotidiano nazionale.
Il giudice del merito osserva che effettuando una ricerca in rete con i principali motori di ricerca ben si riesce a ricostruire l'esito della vicenda giudiziaria, favorevole all'ex amministratore locale. Ma è quella specifica notizia, che pure all'epoca era vera, che l'interessato pretende di aggiornare e contestualizzare. E ne ha diritto, perché l'assessore coinvolto in un filone minore di Mani pulite non può portare a vita «lo stigma» dell'arresto dopo essere stato mandato esente da pena. A provvedere, poi, non può essere chiamato il motore di ricerca ma il sito-sorgente che ha messo in rete la notizia: al cittadino infatti, deve essere riconosciuto un diritto di controllo dei suoi dati personali che riguardano la sua reputazione. È infatti il Codice della privacy a disporre che l'interessato compartecipi alla gestione dei dati sensibili che lo riguardano, chiedendone blocco, trasformazione e cancellazione. In definitiva: internet è un mare magnum, e non basta che è possibile trovarci altre informazioni sul caso dell'ex assessore, rispetto al quale comunque rimane tuttora un interesse pubblico alla conoscenza. Bisogna trovare un sistema per segnalare, nel corpo o a margine, la sussistenza di uno sviluppo della notizia, per esempio del proscioglimento, in modo che gli utenti possano venirne a conoscenza. E se le parti non trovano un accordo le modalità saranno stabilite dal giudice di merito. Nulla da fare per i controricorrenti: l'editore e la stessa Authority che aveva rigettato l'istanza di blocco. La parola torna al tribunale, in diversa composizione.