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Reato l'account con nome altrui

del 04/04/2012
di: di Dario Ferrara
Reato l'account con nome altrui
Compie il reato di sostituzione di persona chi registra un account di posta elettronica a nome di un'altra persona, ignara e realmente esistente, per poter partecipare alle aste online e scaricare così sull'inconsapevole intestatario le conseguenze dell'inadempimento nelle obbligazioni di pagamento relative all'acquisto dei beni comprati in rete. Lo precisa la sentenza 12479/12, pubblicata il 32 aprile dalla terza sezione penale della Cassazione.

Bluff scoperto

Il giochetto è semplice ma, stavolta, costa caro al furbetto della rete, condannato a una pena pecuniaria di 1.140 euro (così rideterminata dalla Suprema corte). Non si può invocare l'uso del «nickname» per salvarsi dalla responsabilità penale: la partecipazione alle vendite all'incanto che avvengono in rete ben tollera l'uso dello pseudonimo, ma impone la registrazione delle vere generalità di chi prende parte all'asta, in modo che ciascuno possa controllare online la reale identità di chi conclude compravendite su internet. Qui il condannato si spaccia per una donna, magari di sua conoscenza, che all'improvviso si ritrova assediata dai creditori per gli acquisti effettuati dal reo e non pagati: il reato di sostituzione di persona risulta dunque integrato dalla condotta dell'agente, che si attribuisce false generalità per conseguirne un vantaggio e peraltro procurando un danno alla persona offesa. Smentita la difesa dell'imputato secondo cui la circostanza che il venditore mancato sia andato alla ricerca delle generalità dell'acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della configurazione del reato: per l'avvocato non sarebbe normale il comportamento di un soggetto fruitore del servizio di aste online che vuole conoscere le generalità dell'altro contraente nel momento in cui il pagamento dell'oggetto venduto non è stato effettuato. La condanna risulta invece confermata dal momento che chi registra l'indirizzo email sotto falso nome punta proprio a indurre in errore gli utenti di internet che partecipano alle aste online.

La rideterminazione della pena è riconosciuta perché il fatto contestato risale a prima del 2005, quando la somma giornaliera da prendere come parametro corrispondeva a 38 euro al giorno, e non i 250 euro stabiliti in seguito dall'articolo 3, comma 62, della legge 94/2009. Una bella differenza.

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