
Lo ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza n. 5250 del 2 aprile 2012.
Dunque la prima sezione civile ha confermato la decisione della Corte d'Appello di Brescia che, aderendo al verdetto di primo grado, ha annullato la delibera con la quale una srl aveva approvato un bilancio con utili meno cospicui rispetto agli anni precedenti. In sentenza era stato ricostruito che gli amministratori avevano orchestrato la falsa esposizione di una perdita per aumentare il capitale sociale.
Ma uno dei soci ha impugnato la delibera ottenendone l'annullamento. A parere dei giudici, tanto di merito che di legittimità, dalle medie di ricarico l'utile sarebbe dovuto essere maggiore e soprattutto era irrilevante la crisi economica usata dai manager come scusa per giustificare la posta negativa.
Aderendo alle motivazioni della Corte d'Appello la prima sezione civile ha infatti ricordato che «la certezza di una divaricazione, pur non quantificata con precisione, tra il risultato effettivo dell'esercizio e quello di cui il bilancio dà invece contezza sia sufficiente per l'accertamento della illiceità del bilancio stesso, e quindi della nullità della delibera assembleare che lo ha approvato, oggetto esclusivo del giudizio in questione. Ne deriva che il dato (e quindi la sua mancanza) in ordine alla esatta misura di tale difformità non è affatto decisivo».
In altri termini, ad avviso della Cassazione, correttamente i giudici di secondo grado hanno ritenuto che il notevole divario tra i margini di ricavo dalla vendita dei pezzi di ricambio e dell'abbigliamento che il bilancio relativo all'esercizio contestato espone rispetto a quelli dei due esercizi precedenti e del successivo «non possa trovare giustificazione nelle sole difficoltà derivanti dalla politica commerciale praticata dall'unico fornitore della società ricorrente». Nell'udienza del 30 novembre 2011, anche la Procura generale aveva sollecitato l'inammissibilità del ricorso.