
Ad avviso del collegio di legittimità, le piccole dimensioni dell'azienda inducono a escludere che mancasse l'accordo dei due soci su come installare l'impianto. Ecco perché gli Ermellini hanno condiviso le motivazioni di merito: «Nella concreta fattispecie», si legge in sentenza, «la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima e i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su di una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo». E invero la Corte d'appello ha motivato la condanna per omicidio colposo del socio presente in azienda all'atto dell'infortunio e intento a collaborare nelle operazioni di installazione, «coerentemente e congruamente valutando le dichiarazioni, in tal senso rese, dalla testimone, un'impiegata della ditta». Non basta, ad avviso della Cassazione rivestono particolare rilievo anche «le ulteriori incontestabili emergenze cosiddette di prova logica, desumibili dalle ridotte dimensioni dell'impresa tali da indurre ragionevolmente a escludere che delle scelte operative uno dei due soci d'industria fosse tenuto all'oscuro». Data questa consapevolezza, la Corte distrettuale ha ritenuto il piccolo imprenditore «responsabile dell'evento a titolo di colpa generica e specifica (in relazione alla violazione espressamente contestatagli, degli artt. 7, 8 e 9 dpr n. 303 /1956 ) siccome investito della posizione di garanzia propria del datore di lavoro nei confronti degli altri soci di società di persone, in materia di prevenzione antinfortunistica, e siccome titolare, peraltro nel caso di specie, della delega in materia di prevenzione degli infortuni».