
Poco dopo la Consulta con la sentenza n. 303/2011 ha poi ammesso la rilevanza, anche se non la fondatezza, della prospettata questione di legittimità. Pur essendo la citata sentenza della Corte costituzionale vincolante solo nel giudizio a qua (trattandosi di pronuncia di rigetto), restano tuttavia insuperate le considerazioni svolte dalla summenzionata ordinanza n. 2112/2011 di questa Corte suprema, che qui vanno sviluppate mediante un'interpretazione costituzionalmente conforme. «Orbene, per quanto il tenore testuale del comma 5 dell'articolo 32, riferendosi alla fissazione di un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni e all'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 421 c.p.c., evochi attività proprie della sede di merito e non di quella di legittimità, nondimeno escludere il giudizio di cassazione dalla sfera di operatività della norma in discorso equivarrebbe a discriminare irragionevolmente tra loro situazioni, pur analoghe, in base alla circostanza, del tutto fortuita, della pendenza della lite in una fase piuttosto che in un'altra, assoggettando le parti del rapporto di lavoro ad un regime risarcitorio diverso a seconda che i processi pendano in primo o secondo grado oppure innanzi alla Cassazione». E poiché una discriminazione sarebbe illegittima di più «lo sarebbe se, all'interno della medesima ipotesi fattuale (pendenza della lite), si operasse un'ulteriore irragionevole distinzione (lesiva, quanto meno, dell'art. 3 fra processi pendenti in sede di merito e altri innanzi ai giudici della legittimità)».