Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 7039 del 22 febbraio 2012, ha annullato con rinvio un sequestro disposto sui beni di un contribuente indagato per dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di false fatture.
Nel caso sottoposto all'esame della Corte l'imprenditore aveva effettivamente sostenuto i costi esposti in fattura ma questa era stata emessa da un'azienda diversa rispetto a quella che aveva erogato il servizio.
Un dato, questo ritenuto fondamentale dagli Ermellini per escludere la punibilità per dichiarazione fraudolenta sancita dall'articolo 2 del d.lgs. 74 del 2000 e quindi per annullare con rinvio il sequestro.
Interessante, nel passaggio finale, anche la linea di confine tracciata dalla terza sezione penale fra imposte sui redditi e Iva.
Sul punto si legge infatti che «il delitto previsto dall'art. 2 DLvo 74/2000 è integrato, per le imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle operazioni figuranti nelle fatture ( relativa alla diversità totale o parziale tra costi indicati e sostenuti) mentre, con riguardo all'Iva, il reato comprende anche la inesistenza soggettiva, cioè, quella relativa alla diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello precisato in fattura».
Solo per citare uno dei precedenti difformi rispetto alla decisione depositata ieri (sentenza n. 2647 del 23 gennaio scorso) la Cassazione ha affermato che «in tema di affari con società cartiere, risponde di frode fiscale l'imprenditore che usa fatture soggettivamente inesistenti anche se in relazioni a operazioni su beni esentati dall'Iva perché destinati all'esportazione».
Per capire quanto il tema è dibattuto basta guardare alle richieste della Procura difformi sia nella sentenza di ieri sia in quella di gennaio.