Una vita da precario, in cui il posto fisso è quasi una chimera: 3 milioni e 315 mila italiani, infatti, un lavoro ce l'hanno, ma senza garanzie (tredicesima, scatti di anzianità, premi di produttività, etc). E alle donne va peggio che agli uomini, poiché se la media in busta paga è di 836 euro al mese, per i maschi si arriva a circa 927, ma il gentil sesso non va oltre i 759. A tracciare il quadro è la Cgia di Mestre, che ha messo insieme diverse tipologie di occupati: i dipendenti a temine involontari, i part-time involontari, i collaboratori con tre vincoli contemporanei di subordinazione (monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell'azienda, imposizione dell'orario di lavoro), i liberi professionisti e i lavoratori in proprio (con partita Iva), che hanno a loro volta i tre vincoli di subordinazione precedentemente elencati. Per quanto riguarda il loro titolo di studio, soltanto il 15% dei precari ha una laurea, il 39% si è fermato alla licenza media, il 46% ha preso un diploma di scuola media superiore; un elemento da tenere in grande considerazione, spiega il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, è che il 38,9% del totale non ha proseguito gli studi dopo la scuola dell'obbligo e, nella stragrande maggioranza dei casi, svolge mansioni pesanti dal punto di vista fisico, soprattutto in alberghi, ristoranti o nel settore agricolo ed «è più a rischio degli altri lavoratori in questa fase di crisi». Il 34% di questi occupati opera nella pubblica amministrazione e, a livello territoriale, il Sud ne conta il numero maggiore (un milione e 108 mila), mentre la Calabria, con il 21,2%, è la regione con la più alta incidenza di precariato nell'intera penisola.