
La pronuncia era attesa e sentita, come attestano la molteplicità di attori coinvolti e di memorie fatte ai giudici. Del resto molto alta era la posta in gioco. Per la sola Cassa ragionieri (la diretta accusata, ma il principio vale per tutte le casse) addirittura la sopravvivenza, se è vero ciò che la stessa Cassa ha lamentato ai giudici, ossia del rischio che in mancanza di misure di riequilibrio (una delle quali appunto il passaggio al contributivo) «già a partire dal 2029 la cassa non sarà più in grado di erogare le pensioni».
La questione prende vita dal ricorso di un ex ragioniere, iscritto per un periodo alla cassa ragionieri e per un altro all'Inps. Non avendo maturato i requisiti contributivi per la pensione in nessuna delle due gestioni (né alla Cassa né all'Inps), l'ex ragioniere fa domanda per avere la pensione in regime di totalizzazione, vale a dire in applicazione del dlgs n. 42/2006 che prevede in questi casi (quando, cioè, un lavoratore ha versato contributi presso diverse gestioni senza, però, raggiungere in nessuna un autonomo diritto a pensione) la possibilità di sommare i diversi periodi contributi vantanti in più gestioni per ottenere una pensione. La «pensione totalizzata» è calcolata «pro quota» da ciascun ente in rapporto ai rispettivi periodi di contribuzione «con le regole del sistema contributivo». Arriviamo così al punto contestato dall'ex ragioniere.
La sua iscrizione alla cassa è prima del 2004, cioè quando la cassa prevedeva il calcolo retributivo (e non contributivo) delle pensioni: dunque, egli si aspettava che la cassa calcolasse lo spezzone di pensione sui suoi redditi e non in base ai contributi versati. Così, invece, non è stato; ritenendo che gli è stata liquidata una pensione d'importo sensibilmente inferiore, ha fatto ricorso per far dichiarare il suo diritto alla liquidazione con il calcolo retributivo. Quando il ricorso è arrivato in appello, la corte di Torino ha sollevato questioni di legittimità della totalizzazione (articolo 4, comma 3, del dlgs n. 42/2006) in riferimento agli articoli 3 (disparità di trattamento) e 76 (eccesso di delega) della costituzione.
Cosa sarebbe successo se la Consulta avesse dichiarato la fondatezza delle questioni sollevate? Probabilmente un disastro, ossia sarebbe stata minata la sostenibilità della cassa. Questo, nelle memorie, la cassa l'aveva messo ben in evidenza: la totalizzazione non poteva prescindere dalla ricognizione, da parte del Legislatore, delle reali capacità di sostenibilità delle gestioni previdenziali, a garanzia dei diritti previdenziali dei professionisti. Il pericolo, comunque, è scampato. I giudici, infatti, hanno deciso che il comportamento del legislatore è stato corretto, senza cioè eccesso di delega (articolo 76 Costituzione), perché «non si escludeva la possibilità di prevedere criteri di calcolo per le singole gestioni previdenziali», cioè in deroga alle regole proprie delle singole casse, «al fine di consentire un ampliamento progressivo dell'ambito di operatività dell'istituto della totalizzazione». Come pure, affermano infine i giudici, non c'è disparità di trattamento nei confronti delle altre casse (ex dlgs n. 103/1996), perché queste casse sono «naturalmente» in regime contributivo.