La cessione di quote societarie da parte di un prestanome, basata quindi su un patto fiduciario, è valida anche in violazione del diritto di prelazione degli altri soci (previsto nello statuto). Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 28875 del 27 dicembre 2011, ha respinto il ricorso del titolare di una quota di una srl che chiedeva fosse invalidata la cessione fatta in violazione del diritto di prelazione dei soci. La vicenda riguarda una complessa costituzione societaria. Il reale titolare della maggioranza aveva intestato le sue quote a dei prestanome. Alcuni di questi si erano succeduti nel tempo, uno era rimasto lo stesso e aveva iniziato a comportarsi come l'effettivo proprietario dell'azienda. Per questo il cedente si era rivolto al tribunale chiedendo che venisse accertato il suo diritto di proprietà. I giudici avevano accolto la richiesta «in barba» al diritto di prelazione degli altri soci. La Corte d'appello aveva confermato il verdetto. Ora la Cassazione lo ha reso definitivo respingendo il ricorso presentato dal prestanome cui le quote, in virtù della vendita fatta con scrittura privata, erano state sottratte dai primi giudici. Nel gravame è stato chiesto alla Suprema corte se è nulla la cessione di quote sociali eseguita in violazione del patto di prelazione contenuto nello statuto sociale e se tale nullità può essere fatta valere da qualunque interessato. La prima sezione civile del Palazzaccio ha dato risposta negativa alla domanda. Ciò perché la cessione di quote in favore di tutti i soggetti che si sono avvicendati nella compagine sociale hanno determinato un mutamento, pur reale ma basato sul «pactum fiduciae», così che «nessun mutamento effettivo è intervenuto nella compagine dell'azienda, restando comunque i mandanti-cedenti titolari delle quote cedute». Insomma, «non può esservi stata violazione del patto di prelazione dei soci né alcuna conseguente nullità può esserne derivata». Gli Ermellini hanno tacciato di inammissibilità anche l'ultimo motivo di ricorso perché, si legge in fondo alle complesse motivazioni, «ancora una volta ascrive vizi formali agli atti controversi, la cui natura fiduciaria esclude l'applicabilità dei requisiti appunto anche formali, tipici degli atti di cessione di quote sociali». Anche la procura generale della Suprema corte ha chiesto in udienza che il ricorso del prestanome fosse respinto e quindi confermata la validità della cessione di quote.