
Il punto di partenza è la presa d'atto di una realtà che ormai vede una profonda discrasia tra valori di mercato degli immobili e valori catastali. Il prezzo delle case è infatti mediamente superiore di oltre 3,7 volte rispetto alla base imponibile Ici e risulta essere tanto maggiore quanto maggiore è il valore della ricchezza posseduta dal contribuente. Il confronto con i costi degli affitti, poi, è ancora più penalizzante perché i canoni di locazione ormai hanno raggiunto livelli pari a 6,5 volte quelli delle rendite catastali. Se la realtà immobiliare fotografata dal catasto è molto distante da quella reale, se nei comuni si rinvengono unità immobiliari classificate come popolari, pur essendo ubicate in zone centrali, e con rendite inferiori a quelle di «civili abitazioni» costruite in zone periferiche, per il governo non è solo colpa della vetustà del catasto (riformato nel 1990 con riferimento al biennio 1988-1989) ma anche del fatto che «la classificazione delle unità immobiliari non è più adeguata ai tempi», tanto più che gli unici aggiornamenti intervenuti in questi anni «sono riconducibili a comunicazioni effettuate dai soggetti interessati in occasione di ristrutturazioni e variazioni edilizie». Ecco perché la riforma degli estimi catastali dovrà per forza di cose affiancare alla tradizionale rendita anche il valore patrimoniale. E il modo per arrivare a determinare questo importo passerà dall'utilizzo di una serie di funzioni statistiche che metteranno in correlazione il valore del bene alla localizzazione e alle caratteristiche edilizie.