I temi su cui l'Officina dell'avvocatura sarà immediatamente coinvolta saranno l'impegno diretto degli avvocati per il contenimento dell'arretrato civile, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie (su cui sta proseguendo la raccolta dati già avviata dal Consiglio nazionale forense, sulla base dei quali verificare concretamente le proposte governative), l'individuazione di forme di aggregazione professionale consone all'esercizio autonomo e indipendente della professione, misure a favore di giovani e donne.
È questa la risposta responsabile e fattiva che l'Avvocatura tutta vuole dare al paese, nella consapevolezza che l'impegno di ciascuno è prezioso per superare questo difficile momento.
L'Avvocatura, d'altra parte, non ha mai fatto mancare il suo contributo all'individuazione di soluzioni concrete per il rilancio dell'efficienza del servizio giustizia e per la sempre maggiore qualificazione della professione d'avvocato (come dimostra la proposta di riforma dell'ordinamento professionale che, ben prima delle ultime Manovre, aveva previsto l'assicurazione obbligatoria, la specializzazione, l'accesso per merito, il procedimento disciplinare terzo, forme di aggregazione nell'esercizio della professione).
Tutto questo però l'Avvocatura lo ha fatto chiedendo il rispetto dei principi fondanti la professione, costituzionalmente garantita, a iniziare da quelli di autonomia e indipendenza dell'avvocato, che è parte essenziale della giurisdizione. Non dimentichiamolo.
L'approvazione della legge di stabilità da parte del Parlamento sabato scorso ancora una volta narra invece di un tentativo di deregolamentazione delle professioni, e di un innalzamento di barriere che sempre più impediscono al cittadino l'accesso alla giurisdizione.
Quanto al primo aspetto, si pensi solo al processo di delegificazione, per cui gli Ordinamenti professionali dovrebbero essere attuati attraverso regolamenti autorizzati, ovvero dai burocrati ministeriali di turno. A parte i profili di illegittimità costituzionale, ai quali, al solito, il legislatore sembra non dare peso alcuno, vi è alla base l'inquietante e mistificante idea secondo cui le professioni liberali sarebbero la causa prima dei problemi di crescita del nostro paese. Non dunque cause aventi origine in sprechi della pubblica amministrazione, in privilegi non più tollerabili della politica, in una pressione fiscale non più sopportabile, in una industria preoccupata solo di distribuire i dividendi e di nulla investire in tecnologia e forza lavoro, in un assistenzialismo facente rima con clientelismo, in un mercato del lavoro né flessibile né in grado di garantire occupazione, in una finanza senza regole, e molto altro ancora. Non queste le cause dei problemi del paese, che invece vanno individuate nell'esistenza di regole professionali deontologiche poste a tutela del cittadino. Nessuno osserva come invece i professionisti italiani siano anch'essi lavoratori che subiscono tutti i danni della crisi economica in corso, che non pesano sullo stato dal punto di vista previdenziale, che creano occupazione presso i propri studi professionali, che gestiscono attraverso gli Ordini attività di interesse pubblico a proprie spese, che mai hanno avuto protezioni di welfare.
La crisi economica che ha investito il paese, tocca e coinvolge anche i professionisti e tra loro gli avvocati, soprattutto i giovani e le donne.
Le norme in materia di giustizia, poi, paiono essere state scritte per penalizzare il diritto alla giustizia dei cittadini.
Ecco, tutto ciò l'Avvocatura non trova più tollerabile. E se da una parte è pronta, come detto, a contribuire al rilancio del paese, è altresì pronta a contrastare con determinazione disegni tendenti a criminalizzare chi svolge con dignità e passione la professione di avvocato, di chi cioè è chiamato per dettato costituzionale a tutelare i diritti fondamentali e inviolabili dei cittadini.