È prova di sottofatturazione un gap troppo alto fra i finanziamenti dei clienti e i prezzi di vendita dichiarati in bilancio dal venditore. È quanto sottolineato dalla Cassazione che, con la sentenza numero 21455 del 17 ottobre 2011, ha accolto il ricorso presentato al Palazzaccio dall'amministrazione finanziaria. La vicenda riguarda un autosalone di Catania. Da un accertamento della Guardia di finanza era emerso che i finanziamenti presi dagli acquirenti erano molto più alti rispetto ai prezzi delle auto e delle moto dichiarate in bilancio dall'azienda. Per questo era scattato l'accertamento con il recupero a tassazione dell'Iva. Contro gli atti impositivi la contribuente aveva presentato ricorso alla Ctp, ottenendone l'annullamento. La Ctr siciliana aveva confermato il verdetto. In sostanza secondo i giudici di merito non c'erano prove sufficienti per dimostrare una sistematica sottofatturazione da parte dell'azienda. A questo punto l'amministrazione finanziaria ha presentato ricorso in Cassazione e lo ha vinto. Ad avviso della sezione tributaria, infatti, la divergenza che era emersa in ordine all'importo del prezzo dei veicoli venduti dal confronto tra i contratti di finanziamento conclusi dai clienti e le scritture contabili della società contribuente (registro, fatture, libro giornale). Questa circostanza, continua il Collegio, avrebbe dovuto essere esaminata meglio dalla commissione tributaria provinciale «per valutare la sussistenza storica e la concludenza indiziaria (anche solo eventualmente per negarle) nell'ambito del percorso argomentativo che ha condotto i giudici a ritenere che le presunzioni semplici su cui si basa l'impugnato avviso di accertamento non fossero sufficientemente gravi, precise e concordanti ai fini della prova del fatto che la società realizzasse una sistematica sottofatturazione». D'altronde la giurisprudenza di legittimità ha precisato in molte occasioni (sentenza n. 1549 del 2007) che in tema di accertamento della imposta sul valore aggiunto, l'ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione relativa (inerente al prezzo di vendita di un bene) in grado di pregiudicare il diritto dell'amministrazione a percepire il tributo nel suo esatto ammontare, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione. Spetta poi alla Ctp, in caso di contestazione, il potere di controllare «incidenter tantum», attraverso l'interpretazione del negozio ritenuto simulato, l'esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa delle entrate. Anche in quell'occasione la pretesa dell'ufficio era basata sulla ritenuta sottofatturazione di un immobile acquistato dalla società di capitali contribuente da altra società di capitali, composta, come la prima, su base strettamente familiare e dai medesimi soci, i quali, come membri dell'acquirente, nella stessa data della compravendita dell'immobile, avevano rinunciato al credito risultante nel bilancio della società venditrice, rinuncia ritenuta in appello aumento del prezzo contrattuale.