
La tutela dei diritti consente la pace sociale. Non si può pensare che in tempi di crisi economica si possa fare a meno della tutela dei diritti o che questa possa essere poco qualificata perché si deve «comperare» a buon mercato. Anche in questa difficile congiuntura i diritti non debbono essere conculcati, e non debbono essere conculcati neppure dalle imprese. Il contenzioso delle imprese riguarda tre settori: quello tra imprese, quello tra imprese e dipendenti, e quello tra imprese e consumatori. I media danno risalto al secondo, talvolta si accorgono del terzo e spesso ignorano il primo. Il contenzioso tra imprese non riguarda solo le appassionanti questioni di scalate, ma concerne più prosaicamente inadempimenti nelle prestazioni di fare e inadempimenti nelle prestazioni di dare. Il contenzioso delle imprese con i dipendenti riguarda le condizioni di lavoro. Su questo tutti sono informatissimi, attesa la grande rilevanza sociale della questione. Quello con i consumatori riguarda le clausole vessatorie che le imprese inseriscono nei contratti, i difetti di prodotti e servizi, le carenze informative.
Tutto ciò genera processi che non sono inventati dagli avvocati, al cui alto numero spesso si ricorre per demonizzarne la presenza nel calcolo dei costi che gravano sulle imprese, non volendo indagare seriamente le cause della malagiustizia.
Vediamo come possiamo, noi avvocati, risolvere questi problemi: gli avvocati hanno sempre promosso la consulenza preventiva, per prevenire il giudizio, ma le imprese preferiscono rischiare il giudizio anziché prevenirlo. Se lo volessero potrebbero emendare i contratti dalle clausole vessatorie, abbassare la conflittualità con i sindacati, offrire informazioni e garanzie ai consumatori. Si possono migliorare i rapporti con una attenta e saggia valutazione degli aspetti giuridici e non solo economici delle iniziative delle imprese. Certo, anche questo ha un costo, ma confrontandolo con gli effetti negativi della mancata consultazione, si possono calcolare anche i benefici. Se le imprese vogliono rischiare il giudizio, gli avvocati offrono il loro servigio mediante tecniche trasparenti: le tariffe sono il mezzo migliore per calcolare il costo dell' attività giudiziale, ma sono anche uno strumento di controllo sull' attività svolta. I codici deontologici non sono un limite allo sviluppo del mercato, ma una garanzia di qualità della prestazione. Il compenso deve essere equo: se dobbiamo comparare in modo solidale tutti gli interessi, dobbiamo concedere anche al professionista di poter contare su di una remunerazione adeguata. Il professionista non può contare sugli aiuti con cui i governi hanno sempre sostenuto le imprese, deve badare a tutto, dal momento di avvio della professione al momento del pensionamento, contando solo sulle sue forze. Nessun beneficio fiscale, nessun finanziamento agevolato, nessun sostegno di fondi comunitari, nessun fattore comunicativo a proprio vantaggio: i professionisti non possiedono giornali, mezzi radiotelevisivi, platee nazionali e internazionali da cui lanciare i messaggi alla nazione. Sono una minoranza silenziosa, discreta, produttiva, ma non inerme e non così esigua. E soprattutto non cieca né stupida. Dopo tutto se esercitano attività intellettuali faranno funzionare il cervello. E anche la memoria quando sarà il momento di fare i conti e depositare la scheda nell'urna. Da questo punto di vista, anche se sembra quasi un paradosso, i professionisti hanno a disposizione solo l'arma più democratica: il voto. Vogliamo discuterne?