
a) una concreta motivazione, che espliciti l'assenza effettiva di professionalità interne, alla luce di una seria ed adeguata ricognizione del ruolo;
b) una procedura trasparente, con adeguata pubblicità, per consentire in primo luogo ai dirigenti di ruolo di candidarsi alla copertura degli incarichi da affidare, al fine di valorizzare le professionalità esistenti, garantendo l'autonomia della dirigenza;
c) una altrettanto seria valutazione del possesso di una professionalità assolutamente specifica in capo al soggetto esterno chiamato a svolgere l'incarico dirigenziale, come prevede l'articolo 19, comma 6, del dlgs n. 165/2001;
d) l'esigenza di garantire il contenimento della spesa, attraverso il prioritario impiego delle risorse interne.
È in quest'ottica che la sentenza n. 7481/2011 si rivela innovativa in quanto traccia il solco per riportare la prassi dei conferimenti di incarico dirigenziale a personale esterno in una logica meritocratica e rigorosamente eccezionale, con l'applicazione di strumenti (principi generali dell'ordinamento e obbligo di adeguata motivazione) che, in vero, sembravano quasi «superati», non solo nel concreto operato delle Pubbliche amministrazioni (che spesso li considerano addirittura tamquam non esset), ma, talvolta, anche nelle stesse argomentazioni degli organi di giustizia aditi.
La sentenza ha suscitato un scalpore anche perché il presidente della Regione Lazio Renata Polverini l'ha definita, in un'affollata conferenza stampa che ha avuto un grande risalto sui media, «una decisione politica». Eppure, come già rilevato negli interventi di alcuni esperti della materia, la decisione del Tar del Lazio ha un percorso argomentativo ineccepibile, limitandosi ad affermare principi di rango costituzionale e cogliendo l'illegittimità degli atti impugnati proprio nella violazione di tali principi. La reazione della governatrice del Lazio sembra piuttosto dimostrare che la politica consideri la materia del conferimento degli incarichi dirigenziali nella p.a. attività di carattere meramente fiduciario e, come tale, scevra da qualsiasi sindacato giurisdizionale. Il Tar del Lazio, invece, ha correttamente rilevato che la scelta di rivolgersi all'esterno è attività amministrativa in senso stretto e che, conseguentemente, il relativo procedimento deve soggiacere ai principi di cui all'art. 97 della Costituzione e alle norme della legge n. 241/1990. D'altronde l'impossibilità di ridurre il conferimento di incarichi dirigenziali ad una scelta esclusivamente fiduciaria deriva dalla insuperabile considerazione che il dirigente pubblico, a differenza di quello privato, gestisce gli interessi e i soldi della collettività e, pertanto, deve essere selezionato su base rigorosamente meritocratica.