
Le somme complessivamente da incassare, secondo le rilevazioni della Corte dei conti (Deliberazione n. 6/2011/G del 31 maggio 2011 dal titolo «Programmi e risultati per il recupero delle rate del condono non versate») ammontano a 4,207 miliardi di euro alla data 31 dicembre 2010 e il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, ha recentemente dichiarato che solo un miliardo della maggior somma è attualmente all'incasso mentre 1 miliardo è riferito a soggetti in procedura concorsuale e 1,5 a soggetti che hanno una marea di altri debiti fiscali o contributivi per cui si tratterebbe di somme inesigibili.
Tali dati, tuttavia, non paiono essere completamente condivisibili per diverse ragioni. In prima battuta per motivi di natura matematica atteso che se le somme dichiarate irrecuperabili ammontano a 2,5 miliardi allora la somma recuperabile dovrebbe essere pari a 1,707 miliardi. In secondo luogo perché dei recuperi effettivi potrebbero ottenersi anche in sede concorsuale considerata la natura privilegiata dei crediti tributari. Da ultimo, perché anche le somme ritenute recuperabili per capienza dei debitori non sarebbero da questi dovute atteso che i contribuenti in sede di opposizione alle azioni del Concessionario potrebbero chiedere ai giudici tributari di dichiarare non dovuto il carico tributario quanto meno relativamente all'imposta sul valore aggiunto in applicazione dell'orientamento giurisprudenziale circa l'illegittimità del condono per contrasto con la normativa comunitaria in applicazione degli effetti della sentenza della Corte di giustizia Ue del 17 luglio 2008 e all'interpretazione fattane successivamente dalla Corte di cassazione con l'indirizzo interpretativo inaugurato con le sentenze nn. 68 e 69 del 18 settembre 2009. Sostanzialmente, il contribuente sarebbe legittimato a sollevare nei confronti dello stato un'eccezione di inadempimento non ritenendo di dover provvedere all'adempimento della propria prestazione (pagamento dell'onere tributario determinato in sede di dichiarazione di condono) a fronte dell'impossibilità per lo stato di fornire l'adempimento della propria prestazione (la copertura derivante dal condono).
Appare quindi evidente come l'obiettivo di entrate al bilancio dello stato sia destinato a ridursi in maniera assolutamente rilevante se non ad azzerarsi completamente con riferimento a questa fattispecie.
Parimenti, le medesime entrate potrebbero essere destinate a crescere in maniera rilevante sempre come conseguenza della disciplina del condono del 2002. Infatti, se i contribuenti che hanno aderito alla manovra perdonistica ai fini Iva (circa un milione) non possono godere degli effetti derivanti dal condono stesso, nei loro confronti può (deve) essere emesso un avviso di accertamento atteso che, in applicazione della disciplina in tema di raddoppio dei termini di accertamento in presenza di fattispecie avente rilevanza penale, il termine ordinario di quattro e cinque anni viene raddoppiato automaticamente. Considerato che la presentazione della dichiarazione di condono si configura come «autodenuncia», in presenza di superamento delle soglie di rilevanza penale di cui al dlgs 74/2000 e del derivante obbligo di dare avvio all'azione penale, non può che applicarsi il termine decadenziale «lungo» di otto o dieci anni per l'effettuazione degli accertamenti. Accertamenti che l'Amministrazione finanziaria è obbligata a notificare prima della scadenza dei termini al fine di non incorrere in fattispecie di danno erariale.