Una delle più importanti novità introdotte nel sistema fiscale dalla legge n. 122/10 è senz'altro il nuovo redditometro, uno strumento di accertamento che passerà al vaglio anche le spese degli agenti di commercio. Con tale strumento, la capacità contributiva del contribuente viene misurata desumendola dal possesso di beni di lusso, evidente indizio di redditi elevati. I calcoli del «redditometro» sfociano poi in un accertamento qualora il reddito dichiarato dal contribuente risultasse inadeguato a fronte del possesso di beni che siano ritenuti dalla legge indice di capacità contributiva elevata. Spetta poi al contribuente portare a sua discolpa prove idonee a smontare le presunzioni del Fisco. Tra i beni «sintomo» di un tenore di vita lussuoso rientrano, oltre alle abitazioni, alle barche, alle opere d'arte, anche le autovetture. Ed è proprio in merito alle autovetture che riteniamo il caso di segnalare due sentenze della Corte di cassazione, che sono sfavorevoli per l'agente, e delle quali occorre dunque tenere ben conto per evitare sgradite sorprese. Nella prima (la n. 20708 del 2007), viene trattato il caso di un agente di commercio, che, avendo cessato l'attività, aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno immediatamente successivo. Risultava possessore di due autovetture (di media cilindrata), il cui mantenimento faceva presumere la produzione di un reddito non dichiarato. In sede di ricorso, l'agente eccepiva che, avendo cessato la sua attività soltanto l'anno precedente, conservava una capacità di reddito tale da potergli permettere il mantenimento di due autovetture, peraltro di «calibro» non straordinario. La Cassazione ha tuttavia affermato come la cessazione dell'attività sia una «evenienza inidonea a superare la portata presuntiva dell'indice costituito dalla disponibilità di autoveicoli», ancorché essi siano stati acquistati in anni precedenti. La seconda sentenza (la n. 9549 del 2011), invece, ha ritenuto legittimo l'accertamento a carico dell'agente di commercio basato sul possesso di un'auto di grossa cilindrata, e ciò nonostante essa fosse strumentale all'attività. Il giudice tributario, accertata l'esistenza dell'elemento specifico indicatore di capacità contributiva, non ha la possibilità di privarlo dell'efficacia che la legge gli ha attribuito, ma solo quella di valutare la prova offerta dal contribuente relativa alla provenienza delle somme necessarie a mantenere il possesso dei beni in questione. Restando in tema di auto, riteniamo il caso di segnalare un'altra sentenza, questa volta non relativa al «redditometro», ma ai più vecchi «coefficienti presuntivi di reddito». In essa la Corte ha affermato che il consumo di carburante da parte di un agente di commercio costituisce un fatto certo e noto da cui è legittimo dedurre per presunzione con accertamento analitico-sintetico l'esistenza di un proporzionale giro d'affari. Più in particolare, l'idoneità del consumo di carburante a rivelare (sia pure in via di semplice presunzione suscettibile di prova contraria) una proporzionale corrispondente produzione reddituale costituisce un dato di comune esperienza, certo e condivisibile, attesa l'indiscussa necessità di quel consumo per lo svolgimento della specifica attività di agente di commercio; nell'ambito del consumo di carburante dichiarato da ciascun contribuente, poi, rientra certamente anche quello utilizzato per la visita al potenziale cliente ovvero per la visita periodica ai clienti o, ancora, per l'attività di riscossione dei crediti, quindi un consumo che oggettivamente non frutta ordinativi e non attribuisce nessuna provvigione: tanto, però, non toglie al consumo di carburante il suo significativo valore indiziario in quanto le visite dette caratterizzano l'attività di tutti gli agenti di commercio e, quindi, costituiscono un elemento negativo già compreso nei «dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi» degli agenti di commercio e, pertanto, considerato nella «elaborazione dei coefficienti presuntivi» di quella attività economica per cui deve ritenersi senz'altro legittima la logica deduzione del volume di affari dal consumo del carburante.