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Piccoli comuni, fondersi conviene

del 20/08/2011
di: di Thomas Vercellotti
Piccoli comuni, fondersi conviene
Per i piccoli comuni è più conveniente scegliere la via dell'accorpamento volontario mediante fusione, secondo il procedimento già previsto nel Testo unico sugli enti locali (dlgs n. 267/2000) piuttosto che farsi imporre dall'alto la costituzione dell'unione municipale prevista dalla manovra di Ferragosto. In entrambi i casi il risultato è una razionalizzazione della struttura organizzativa comunale. Tuttavia, i succitati processi, allo stato attuale alternativi per le autonomie locali, presentano talune differenze salienti.

Mentre nel primo caso sono previsti una serie di incentivi economici, sia regionali che statali da devolvere alle comunità locali e ai comuni scaturiti dal processo di fusione, nel secondo caso, non sono programmate alcune contribuzioni volte a superare la ritrosia e la contrarietà delle comunità locali d'origine. Al contrario, sono previsti strumenti coercitivi volti a valicare l'inerzia delle amministrazioni comunali. Se il decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, dovesse essere convertito così com'è in legge ordinaria, si verrebbero a delineare due diversi processi di accorpamento dei comuni di modeste dimensioni demografiche e territoriali.

Un processo di fusione vero e proprio, di cui agli artt. 15 e 16 del Tuel, rimesso alla libera autonomia degli enti locali, e rispetto al quale sussiste una riserva di legge regionale, nonché un processo di semplificazione, di fatto un accorpamento, imposto dall'alto. Processo quest'ultimo previsto dall'art. 16 della manovra bis.

Nelle more dell'attuazione della recente riforma volta al contenimento della spesa pubblica, le amministrazioni dei comuni con popolazione pari o inferiore ai 1.000 abitanti, sono pertanto chiamate a valutare quale tra i due sopra citati istituti sia il più conveniente, il più proficuo.

Non solo. I comuni che non volessero optare per la fusione volontaria, ostentando una certa sagacia, dovrebbero focalizzare l'attenzione sui margini di autonomia riservata loro da testo normativo al vaglio del parlamento e trarne i relativi vantaggi.

Invero, in ossequio al criterio-guida di contiguità territoriale, che peraltro accomuna entrambe i processi oggetto di argomentazione, i comuni interessati si trovano nelle condizioni di poter scegliere gli enti locali contigui con cui dialogare e negoziare circa la costituzione dell'Unione municipale.

Indubbiamente, i governi locali si trovano, oggi, a dover prendere una decisione: dare inizio con fermezza, a un procedimento di unificazione volontaria prendendo a modello i processi di fusione già verificatosi in Italia, o al contrario attendere i risvolti di una riforma normativa varata con decretazione d'urgenza, che rinvia a un successivo regolamento governativo.

Una cosa è certa: laddove messi a confronto i due istituti giuridici, emerge sembra ombra di dubbio come il processo di fusione volontaria presenti grandi potenzialità.

In merito, si consideri inoltre come per le Unioni municipali la popolazione complessiva residente nel territorio, deve essere pari almeno a 5 mila abitanti, salvo diversa soglia demografica individuata con delibera della giunta regionale. Al contrario, nell'ipotesi di processo di unificazione volontaria, non sono pianificati limiti demografici.

Concludendo, un aspetto deve essere chiaro: mentre il processo di fusione volontaria di cui al dlgs 12 agosto 2000, n. 267, sfocia nella creazione di un'unica entità pubblica territoriale, ovvero in un nuovo comune, il recente disposto normativo conduce più a un «ente locale di secondo livello», che fa salvi gli enti locali di origine, se pur ridimensionati nella loro compagine organizzativa. Tanto è vero che la figura del sindaco permane quale unico organo di governo, mentre giunta e consiglio comunale sono soppressi.

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