
Liberalizzare comunque. In ordine di tempo, dopo l'accantonamento di un ddl delega di liberalizzazione delle professioni circolato durante l'ultimo consiglio dei ministri (si veda ItaliaOggi del 1/7/2011), il nuovo fronte del botta e risposta si è acceso l'altro ieri. Da un lato a Bologna il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, difendeva il sistema ordinistico ammettendo semmai la necessità di un aggiornamento normativo. Dall'altro a Milano il sottosegretario all'economia, Luigi Casero, andava oltre il semplice restyling e annunciava la volontà del governo di procedere in poche settimane con liberalizzazioni incisive per tutte le professioni (si veda ItaliaOggi del 5/7/2011). Dunque due posizioni in antitesi. In mezzo il silenzio di Alfano quale ministro vigilante sulle professioni e al quale oggi si appella il Comitato unitario delle professioni (Cup) guidato da Marina Calderone.
L'appello del Cup. «Prescindo dalle opinioni personali lette e ascoltate in questi giorni», commenta la Calderone. «Noi siamo enti di diritto pubblico e ci atteniamo ad atti ufficiali. Su invito del ministro Alfano, abbiamo prima concordato con il dicastero di giustizia e poi presentato una proposta di riforma che, da luglio del 2010, giace a Via Arenula. Noi siamo fermi a quel punto. La mossa tocca al governo ed è necessario sapere se sono cambiate le condizioni e perché, ma anche quali siano le eventuali nuove linee sulle quali l'esecutivo intende muoversi. In tal senso, attendiamo un pronunciamento ufficiale», conclude.
La diffida degli architetti. Non ha gradito le parole di Casero il numero uno degli architetti Leopoldo Freyrie che ha partecipato al convegno di Milano da spettatore in quanto, lamenta, «nessun rappresentante di categoria è stato invitato a parlare del futuro delle professioni». Così, all'indomani dell'affondo del sottosegretario, il consiglio nazionale degli architetti ha preso carta e penna e scritto una lettera al presidente del Consiglio dei ministri con la quale si «diffida il governo dal procedere a riforme strutturali sugli ordinamenti professionali mediante strumenti legislativi inadeguati, fuori dai luoghi istituzionali competenti quali il ministero della giustizia e le commissioni giustizia di camera e senato e, comunque, senza confrontarsi con le istituzioni dello stato che rappresentano le libere professioni».