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Partite Iva, chiusura da impugnare in Ctp

del 05/07/2011
di: Roberto Rosati
Partite Iva, chiusura da impugnare in Ctp
Chiusura d'ufficio delle partite Iva «dormienti»: ai contribuenti che, per un triennio consecutivo, sono rimasti inattivi oppure non hanno presentato, pur essendovi obbligati, le dichiarazioni annuali Iva, sarà revocata l'attribuzione del numero di partita Iva. Il provvedimento di revoca potrà essere impugnato davanti alle commissioni tributarie. Questa la novità prevista dal decreto-legge di stabilizzazione, alla quale si accompagna una misura di clemenza per la tardiva dichiarazione della cessazione di attività (si veda ItaliaOggi del 30 giugno). Ma andiamo con ordine. L'articolo 27, comma 22, del decreto-legge, inserisce nell'art. 35 del dpr 633/72, concernente la dichiarazione Iva di inizio, variazione e cessazione dell'attività agli effetti dell'Iva, il comma 15-quinquies. La nuova disposizione stabilisce che l'attribuzione del numero di partita Iva è revocata d'ufficio qualora per tre annualità consecutive il titolare non abbia esercitato l'attività d'impresa o di arti e professioni o, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale Iva, non abbia adempiuto a tale obbligo. È da notare subito che la norma sembra prefigurare, al realizzarsi di una delle situazioni ipotizzate, l'obbligatoria cancellazione della partita Iva (fatta salva, come detto, la possibilità di ricorrere contro il provvedimento di revoca secondo le disposizioni sul contenzioso tributario). Riesce però difficile immaginare il ricorso a meccanismi automatici nell'adozione del provvedimento di revoca, in quanto il realizzarsi di una delle due situazioni (inattività protratta per tre annualità consecutive, ovvero omessa presentazione delle dichiarazioni Iva per tre annualità consecutive) potrebbe celare non una posizione «dormiente», ma una situazione di altro tipo, compreso lo svolgimento dell'attività in totale evasione d'imposta. Lo scopo dichiarato del legislatore, chiaramente esplicitato dalla norma, è di procedere a un «chiarimento in relazione a partite Iva inattive da tempo»: una pulizia degli archivi anagrafici, insomma, e non un'azione diretta a valutare nel merito la sussistenza dei presupposti della soggettività passiva.

Lo stesso concetto di inattività richiede qualche approfondimento. Una posizione Iva «non movimentata» per più anni, né per le operazioni attive né per gli acquisti, potrebbe essere tenuta in vita per motivi diversi dalla dimenticanza e meritevoli di considerazione, ad esempio uno stato di liquidazione di fatto che si protrae nel tempo per le difficoltà di alienare un cespite. Sembra quindi necessario che il provvedimento di revoca sia assunto soltanto dopo avere ottenuto riscontri precisi circa la situazione concreta, e non «a tavolino». Occorre ricordare, poi, che la cessazione dell'attività determina conseguenze rilevanti sotto il profilo impositivo, quali:

- l'assoggettamento all'imposta dei beni acquistati con esercizio del diritto alla detrazione (c.d. autoconsumo), fatta salva, per i beni ammortizzabili, la «consumazione» dell'imposta detratta per effetto del decorso del termine per la rettifica della detrazione;

- la liquidazione dell'imposta sulle operazioni fatturate in regime di esigibilità differita, ancorché non sia avvenuto l'incasso del corrispettivo.

Queste conseguenze non potranno farsi discendere da una valutazione automatica degli elementi presenti nelle banche dati, ma da una verifica caso per caso.

Riduzione della sanzione

per cessata attività

Il comma 23 dell'articolo 27 del decreto, inoltre, prevede la riduzione della sanzione a un quarto del minimo edittale per i contribuenti che, pur essendone obbligati, non abbiano presentato tempestivamente la dichiarazione di cessazione dell'attività ai fini dell'Iva. Più precisamente, questi contribuenti potranno sanare la violazione pagando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, l'importo di 129 euro, a condizione però che la violazione non sia già stata constatata con atto portato a conoscenza del contribuente. Dal tenore letterale della disposizione non è chiaro se la definizione agevolata riguardi soltanto le violazioni già commesse alla data di entrata in vigore del decreto, oppure anche quelle commesse dopo. Per le modalità di pagamento della sanzione ridotta, occorre attendere indicazioni dell'agenzia.

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