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Ogm, libera coltura in libero stato

del 23/06/2011
di: di Luigi Chiarello e Andrea Mascolini
Ogm, libera coltura in libero stato
La coltivazione di varietà ogm non può essere vietata in assenza dei piani di coesistenza regionali tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Un simile divieto è illegittimo. È quanto affermato dal Tar Lazio (sezione seconda-ter), con la sentenza n. 5532/2011, depositata il 26 giugno scorso, che ha accolto il ricorso presentato dall'azienda agricola Silvano Dalla Libera (difeso dall'avvocato Gabriele Pirocchi) e da Confagricoltura Lombardia. Il Tribunale amministrativo ha così sterilizzato il decreto dell'ex ministro delle politiche agricole, Luca Zaia, datato 19 marzo 2010, con il quale veniva rigettata l'istanza di autorizzazione per la messa in coltura di varietà di mais transgenico. Il caso affonda le radici nel tempo. La questione nasce nel 2004, da quando cioè Gianni Alemanno, allora ministro delle politiche agricole, propose un decreto legge sulla coesistenza delle colture. Il Consiglio dei ministri lo fece suo, approvandolo l'11 novembre 2004. Il decreto demandava alle regioni l'adozione dei piani di coesistenza entro il 31 dicembre 2005. In pratica, una moratoria di fatto fino a quando non si fosse trovata un'intesa in conferenza stato-regioni. Successivamente, contro il dl sulla coesistenza (n. 279/2004, convertito nella legge 5/2005), fece ricorso la regione Marche. Così, la questione sull'ammissibilità delle colture ogm a fianco di quelle tradizionali e biologiche finì dinanzi ai giudici della Corte costituzionale. La Consulta, con la sentenza n. 116/2006, fece salvo il principio di coesistenza e stabilì che «le diverse colture (tra cui gli ogm) siano praticate senza reciprocamente compromettersi, in modo da tutelare le peculiarità e le specificità produttive di ciascuna e in modo da evitare commistioni tra sementi e senza pregiudizi per le attività agricole preesistenti (che non debbono trovarsi costrette a modificare o adeguare le loro tecniche di coltivazione e allevamento), assicurando agli agricoltori, agli operatori e ai consumatori la possibilità di scelta attraverso la separazione delle rispettive filiere». Affermando questo principio, i giudici delle leggi rinviarono alle regioni il compito di individuare le modalità di attuazione del principio di coesistenza, con appositi piani. Non solo. Nell'accogliere il ricorso, i giudici precisarono che l'amministrazione ministeriale, in caso di inerzia da parte delle regioni nell'adozione dei piani di coesistenza, è tenuta ad attivare i propri poteri sostitutivi previsti dalla normativa in materia di attuazione degli obblighi comunitari gravanti sulle regioni. E non può, pertanto, rifiutarsi di provvedere in caso di persistente inerzia di queste ultime. Di più. Secondo la Consulta, quando il ministro delle politiche agricole esercita il potere sostitutivo in ambito ogm, non deve prendere i considerazione aspetti di carattere ambientale e socio-sanitario, anche se riferiti al peculiare contesto territoriale di riferimento, visto che si tratta di profili di esclusiva competenza Ue in sede di autorizzazione della singole varietà transgeniche. I piani di coesistenza, secondo la Corte costituzionale, devono piuttosto valutare esclusivamente il profilo economico della coesistenza (connesso alla commistione tra le diverse tipologie di colture) per garantire l'assenza del rischio; cioè che non si verifichi la presenza involontaria di ogm in altri prodotti coltivati in aree limitrofe. La questione, dunque, tornava in mano alle regioni. Molte amministrazioni territoriali, però, erano e sono ancora oggi contrarie all'introduzione del transgenico in Italia. Tanto da confluire in un club denominato «regioni libere da ogm»; un cartello, che conta 41 province, 2.446 comuni, e 16 regioni. Era già palese, che la definizione delle regole di coesistenza fosse destinata a non avere vita facile tra i governatori. Un ostracismo, che il 30 settembre 2010, culminò addirittura nel rifiuto, da parte degli assessori regionali all'agricoltura, a deliberare le linee guida sulla coesistenza. E nell'invito degli stessi al ministro di allora, Giancarlo Galan, ad applicare le clausole di salvaguardia sugli ogm.

Il caso Dalla Libera. A quel punto, Silvano Dalla Libera, agricoltore friulano e vicepresidente di Futuragra (associazione pro-ogm), ruppe gli indugi. E presentò al dicastero delle politiche agricole richiesta di rilascio dell'autorizzazione per la messa a coltura di varietà transgeniche. Il ministro di allora, Luca Zaia (dichiaratamente contrario agli ogm), venne così chiamato a esercitare il potere sostitutivo e a decidere, rompendo l'inerzia delle regioni. Zaia, però, con decreto 19 marzo 2010, rigettò l'istanza di autorizzazione per la messa in coltura di mais transgenico, presentata dall'azienda agricola Dalla Libera. Quindi, l'agricoltore friulano, assieme a Confagricoltura Lombardia, presentarono ricorso al Tar Lazio (numero di registro generale 5641 del 2010). Per altro, gli stessi ricorrenti avevano già ottenuto dal Consiglio di Stato (sentenza n. 183/2010 del 19/1/2010) l'annullamento di un altro provvedimento (datato 18/4/2007), con cui il Mipaaf non aveva proceduto all'istruttoria sulla richiesta di rilascio dell'autorizzazione per la messa a coltura di varietà gm. Il dicastero, in quell'occasione, aveva rinviato il tutto all'adozione dei piani di coesistenza da parte delle regioni. Per tutta risposta, nel gennaio 2010, i giudici di Palazzo Spada ordinarono al Mipaaf di concludere il procedimento entro 90 giorni. Il dicastero, a quel punto, procedette all'emissione del decreto in questione, che oggi il Tar del Lazio ha annullato.

Nel caso specifico, si legge nella sentenza del Tar, il ministero non ha ovviato alla mancata adozione delle linee guida generali sulla coesistenza, ma ha deliberato negativamente sulla domanda presentata dall'azienda agricola, facendo propri i contenuti di una relazione della regione Friuli-Venezia Giulia, che si era espressa su profili di competenza esclusiva comunitaria. Il decreto, chiosano i giudici amministrativi, ha finito nella sostanza, per negare il diritto alla scelta tra le diverse tipologie di coltura, escludendo in fatto proprio la coltura transgenica.

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