
Nonostante il recente accordo tra governo e comuni sulle spettanze del federalismo fiscale (compartecipazione Iva e fondo di riequilibrio) abbia fatto tirare un sospiro di sollievo ai municipi in vista della chiusura dei bilanci (sui 6.700 enti delle regioni a statuto ordinario ben 4.647 riceveranno le stesse risorse del 2010 mentre i 1.835 sindaci che ci rimetteranno andranno incontro a una decurtazione limitata allo 0,28%), restano ancora dei alcuni profili di incertezza. Ma tutto, assicurano al ministero dell'interno, bombardato in questi giorni dalle richieste di chiarimenti dei comuni, verrà definito quando, dopo il visto della Corte conti, i dati saranno ufficiali. Per il momento infatti ci sono ancora differenze tra i trasferimenti 2011 al netto dei tagli del dl 78/2010 e le spettanze teoriche su cui sono stati calcolati compartecipazione Iva e fondo di riequilibrio. E lo dimostra uno studio diffuso ieri dal senatore Pd Marco Stradiotto, secondo cui il prezzo che i comuni pagherebbero col federalismo sarebbe molto più alto di quello che il Viminale vorrebbe far credere. Secondo lo studio le differenze tra quanto i comuni incassavano nel 2010 e quanto avranno nel 2011 è particolarmente evidente non solo a Roma, Napoli e L'Aquila (che ricevono contributi extra, e dunque non fiscalizzabili ai fini del federalismo, nel primo caso in quanto Capitale della Repubblica, nel secondo per far fronte all'emergenza rifiuti e per pagare gli Lsu e nel caso del capoluogo abruzzese per l'emergenza terremoto) ma un po' dappertutto. In realtà però, replicano al ministero, gli scostamenti si giustificherebbero per almeno quattro fattori: il mancato computo del fondo per gli investimenti (di cui i comuni hanno invece ricevuto la prima tranche il 1° giugno), i tagli dei costi della politica (89 milioni), il mancato rifinanziamento per il 2011 dell'Ici rurale (189 milioni) e per finire i soldi recuperati dal Mininterno per il personale che i comuni avevano acquisito in mobilità (prevalentemente da scuole e Ferrovie dello stato) una decina di anni fa e nel frattempo cessati dal servizio. Molti enti si erano dimenticati di segnalarlo al Viminale che ha così avviato nell'autunno scorso un monitoraggio arrivando a quantificare in 2 milioni di euro la cifra da non corrispondere più ai comuni.