
Il caso dell'istituto creditizio emiliano non è l'unico sul panorama nazionale a vedere coinvolti gruppi bancari in tema di abuso del diritto. Ciò sia per la rinnovata attenzione dei verificatori verso il comparto del credito sia tenuto conto del fatto che talune operazioni finanziarie, per esempio quelle atte a monetizzare i crediti d'imposta con un effetto moltiplicatore su più beneficiari, sono state utilizzate piuttosto diffusamente.
Per l'utilizzo distorto dei crediti per imposte pagate all'estero anche un'altra banca, la Carige, è stata recentemente condannata a pagare, tra imposte e sanzioni, oltre 10 milioni di euro (sentenza n. 133/13/11 della Ctp di Genova, si veda ItaliaOggi del 2 aprile scorso). In quel caso i giudici tributari hanno definito «irregolare ritorno di elementi di convenienza fiscale» un'operazione di finanza strutturata in pronti conto termine su titoli atipici.
E nel dicembre scorso aveva scelto la strada della transazione anche la Banca Popolare di Milano, che ha «patteggiato» con le Entrate una contestazione complessiva superiore ai 300 milioni di euro, versandone circa 200. In quel caso gli 007 del fisco avevano preso di mira operazioni strutturate realizzate dal gruppo Bpm nel periodo 2004-2008. In una nota, pure l'istituto di piazza Meda aveva affermato che, pur ritenendo legittimo il proprio operato in relazione alle fattispecie contestate, «ha ritenuto comunque opportuno addivenire alla definizione della controversia in parola in una logica deflattiva del contenzioso e soprattutto per evitare il protrarsi dello stato di incertezza, di per sé gravemente pregiudizievole per l'operatività della banca».
Stessa strada che ha ora deciso di percorrere Credem, attraverso accordi che da un lato consentono al contribuente di liberarsi di un contenzioso multimilionario dall'esito lungo, costoso e incerto (anche visti i diversi orientamenti giurisprudenziali sul tema dell'abuso di diritto), e dall'altro lato permettono all'erario di incassare subito importi considerevoli.