
Ci siano aziende oberate da un carico di contestazioni non indifferente. Si prenda Intesa Sanpaolo, a cui il Fisco nostrano chiede qualcosa come 2,5 miliardi di euro. Si tratta del fardello più pesante, peraltro rientrante in una delle questioni più spinose del composito mondo dei tributi: l'abuso di diritto, ipotesi alla cui costruzione hanno più che altro contribuito le sentenze della Corte di cassazione. Tecnicamente funziona così. Quando una società effettua un'operazione lecita, ma soltanto con l'obiettivo di pagare meno tasse, in pratica vuol dire che sta abusando del diritto allo scopo di evitare versamenti al Fisco. Nel caso di Intesa Sanpaolo, sono proprio operazioni di questo genere ad aver spinto l'amministrazione ad avanzare la pretesa monstre. Al punto che la banca, guidata da Corrado Passera, ha ritenuto di dover accantonare solo 160 milioni di euro, convinta di poter dimostrare in giudizio la solidità delle sue eccezioni.
Della stessa pasta, e quindi sempre modellate sul concetto di abuso di diritto, le contestazioni mosse all'Unicredit di Federico Ghizzoni, destinataria di una contestazione da 567 milioni per un'operazione denominata Db Vantage, in sostanza un pronti contro termine in lire turche fatto con Deutsche Bank. Tra gli altri istituti di credito, è il Banco Popolare a segnalarsi per l'entità delle richieste fiscali. Si tratta di 1 miliardo e 538 milioni di euro, ottenuti sommando 712 milioni in termini di avvisi di accertamento inviati dal'Agenzia delle entrate e 826 milioni in termini di maggiori imposte desunte da processi verbali di constatazione. Nel caso del Banco Polare, però, il «gruzzolo» rappresenta l'eredità di contestazioni che sono state mosse alle aziende che via via sono state aggregate o sono finite sotto il controllo dell'istituto. La richiesta più pingue, da questo punto di vista, consiste in 340 milioni di euro a titolo di Iva indetraibile e di maggiori imposte dirette contestati a Banca Italease, poi finita nel perimetro del Banco Popolare
Molte verifiche sono state indirizzate nei confronti di società energetiche. Per esempio spicca il caso di A2a, i cui contenziosi fiscali fanno ancora riferimento alla querelle europea sugli aiuti di stato. In sostanza A2a è tutt'ora in giudizio con l'Agenzia delle entrate per cercare di recuperare circa 220 milioni di euro che la società ha già versato a scopo cautelativo dopo che le istituzioni comunitarie avevano censurato come aiuti di stato alcune agevolazioni erogate all'epoca alle ex municipalizzate Aem e Asm, dalle cui nozze è appunto nata A2a. Insieme ad altri contenziosi pendenti, la società energetica risulta destinataria di contestazioni per 233,4 milioni di euro. Nel mirino del Fisco sono rientrate anche società partecipate dal Tesoro. Per esempio spicca l'Eni, a cui l'amministrazione sta contestando 196 milioni di euro. Di questi, 148 milioni riguardano rilievi mossi contro Padana Assicurazioni, società che faceva capo al colosso petrolifero e che successivamente è stata ceduta. Eni, però, ne ha dovuto ereditare i contenziosi. E sempre al cane a sei zampe un drappello di comuni abruzzesi contesta 48 milioni di euro in termini di Ici da pagare, dicono i municipi in questione, su alcune piattaforme petrolifere nell'Adriatico. Dall'Eni, all'Enel. In questo caso il Fisco ha acceso un faro su Enel Green Power, costretta a un accantonamento di 8 milioni di euro per contenziosi relativi all'Ici il cui pagamento viene richiesto su alcuni impianti di produzione di energia.