
Sul punto in motivazione si legge che «la sentenza, con la quale il giudice applica all'imputato la pena da lui richiesta e concordata con il pubblico ministero, pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 445, comma primo, cod. proc. pen., non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene l'imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità. Ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all'art. 444 cod. proc. pen. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile». Inoltre, il danno risarcibile ex art. 2059 c.c. è sempre un danno conseguenza. Da questo deriva che «esso vada provato, non essendo ammissibile la ritenuta esistenza di tale danno, anche se conseguente a reato, come danno in re ipsa. Ovviamente nell'ambito delle prove per l'esistenza di tale danno non patrimoniale il giudice potrà avvalersi anche della prova presuntiva».